Un viaggio tra i solidi mistici del galileiano Vincenzo Viviani: il clypeus subdemissus

Vincenzo Viviani fiorentino fu l’ultimo dei discepoli di Galileo. Visse del 1622 al 1703 e collaborò col maestro dal 1632, dunque per dieci anni, perché Galileo morì nel 1642. Evangelista Torricelli (1608-1647) era di poco più anziano. Divenne assistente di Galileo nel 1641, e dunque lo rimase solo per pochi mesi; non fu tuttavia allievo diretto, semmai allievo di un allievo, Benedetto Castelli. Alla scomparsa di Galileo, fu nominato suo successore come matematico del Granducato di Toscana. Morì pure lui in capo a cinque anni, ancora giovane, appena trentanovenne, avvelenato con ogni probabilità dal mercurio che maneggiava con eccessiva confidenza nei suoi esperimenti sulla pressione dell’aria.

Viviani lo assistette in quel breve periodo, e poi gli sopravvisse a lungo, per un cinquantennio abbondante. Fu lui pure matematico, ingegnere e astronomo di un qualche valore. Anzi, oggi gli è dedicato uno dei crateri della Luna, denominato appunto cratere Viviani.

Negli anni Novanta del secolo diciassettesimo, dunque nell’ultima parte della sua vita, Viviani mise mano a un trattato (che non fu mai dato alle stampe) in cui discuteva di alcuni solidi notevolissimi, in realtà già considerati in gioventù insieme a Torricelli. Viviani attribuiva valore mistico a questi solidi, tanto che tra le decine di frontespizi abbozzati per la sua opera ricorrono spesso titoli come Geometria Mistica, Geometria Divina o simili. L’intricata vicenda di questo trattato irrealizzato e il suo ruolo nel dibattito di fine Seicento sulla riabilitazione di Galileo e del suo pensiero sono discussi nel saggio ampio e approfondito di Sara Bonechi, che citeremo in dettaglio alla fine di questa nota.

I nostri intendimenti qui sono però molto più leggeri. Presentiamo infatti una storia fantastica, un racconto quasi paradossale che, echeggiando nello stile il linguaggio dei tempi galileiani, vuole tuttavia presentare ai lettori di oggi questi solidi considerati da Viviani: un divertimento erudito e raffinato, ma anche, perché no?, un modo originale di fare didattica, svolgendola non più e non solo nei termini rigorosi di un manuale o di una lezione classica, ma attraverso la vivacità e l’invenzione della narrazione, per di più corredata da gradevoli vignette.

Conviene però che premettiamo qui al racconto qualche breve spiegazione scientifica, per illustrare l’argomento che appassionò Viviani e i risultati che se ne ottengono.

Ed eccoci allora. Il racconto che segue immagina Viviani e Torricelli impegnati a costruire per un committente immaginario, Don Chisciotte, uno stylum e un clypeus, e cioè una lancia infinitamente lunga e appuntita e uno scudo infinitamente esteso e sottile, e dunque a studiare e comprendere le insidie matematiche di curve, superfici, solidi e centri di massa coinvolti. Lo fa nello stile che si diceva, divertito e divertente. Auguriamo dunque a tutti buona lettura.

Prima però ricordiamo una scoperta astronomica che di recente ha riscosso grande curiosità e che, almeno nel racconto si collega alle ricerche di Viviani. Ci riferiamo all’apparizione in cielo, nel 2017, di un asteroide, denominato Oumuamua dall’osservatorio hawaiano che la ha registrato (il significato letterale della parola sarebbe: “messaggero che arriva dal passato”). Un altro riferimento spaziale, che si aggiunge al cratere lunare di cui si diceva all’inizio. Dalla traiettoria Oumuamua risultò essere il primo oggetto interstellare mai rilevato. Il suo comportamento suscitò, e suscita ancora, molte perplessità. Le ipotesi più varie sono state fatte sulla natura di quest’oggetto, da una condensazione di materiale cosmico in forma di batuffolo all’immancabile astronave aliena. Ma, forse, nessuno ha colto nel segno: che Oumuamua non sia altro che il clypeus sfuggito a Viviani mentre cercava di forgiarlo, e ormai sperduto nello spazio?

Il racconto che segue compare già come appendice al saggio di Sara Bonechi, Dediche tortuose. La Geometria morale di Vincenzo Viviani e gli imbarazzi dell’eredità galileiana, Noctua, Anno VI, nn. 1-2, 2019, pagine 75-181. Occupa le pagine finali 170-181. L’intero saggio è disponibile online all’indirizzo https://www.e-theca.net/Noctua/Issues/2019_VI_1-2/Noctua%20–%202019%20–%20VI:1-2.html .

Ringraziamo l’autrice e la rivista Noctua per averci consentito di riprodurlo qui, integrato da questa introduzione e dalle vignette disegnate dall’autore Riccardo Pratesi.

 

Il clypeus subdemissus

 

“Ci siamo, Viviano?”

“Ora sento, Mastro Torricello!”

“CI SIAMO?” urlò Viviano nel foro della fucina, che pareva uno sfavillante tunnel senza fondo.

Quasi un gorgogliar di torrente risaliva l’ardente galleria, un cantar di grilli, un frinir di cicale, infine una vocina: “Ci siamo!”

Mentre il suo primo stylum si raffreddava, Mastro Torricello riguardava inorgoglito i calcoli che avevano reso possibile il miracolo. Dal ferro fuso contenuto in un crogiuolo cilindrico, forgiare una lancia infinitamente lunga. La lancia, il suo primo “stylum Torricellianum”, era pronto.

Restava un’incognita. Quanto tempo avrebbe richiesto la lucidatura? Dopotutto, benché il manufatto fosse di volume finito, i calcoli mostravano come la superficie fosse, invece, infinita. Sarebbe bastata l’infinita schiera di gnomi che avevano presieduto alla forgiatura a terminare anche la lucidatura in un tempo finito? Per le necessità dell’opera, perché cioè ognuno degli gnomi potesse svolgere il suo compito in tutta comodità, essi erano tanto più piccoli quanto più ci si addentrava nella fucina, fin nelle sue abissali profondità capillari.

Tutti questi infiniti annebbiavano la mente di Mastro Torricello, (già minata dall’argentovivo, ch’egli maneggiava con eccessiva dimestichezza per altri suoi esperimenti) il quale ricorse dunque a considerazioni empiriche:

“Ho ben udito la risposta degli gnomi a Viviano giugner a ritroso in tempo finito. Acciocché ciò potesse darsi, vi s’abbisognan gnomi vieppiù rapidi quanto più minuti. Adunque, ancorché ciascheduno degli gnomi sia esattamente proporzionato alla porzione di stylum che gli si para innanzi – che amendue sceman proporzionatamente la misura col dilungarsi dal principio dello stylum – i più lontani dovrian far lor mestiere più rattamente, in ciò chiudendo l’infinita opera loro in tempo finito”.

Mastro Torricello stava ancora assorto, vagheggiando infiniti, quando fu turbato dall’urlo di Viviano nel buco lucente: “AVETE FINITO?”

Uno sfrigolar d’olio bollente, un pigolìo di pulcini, infine la risposta: “Finito!”

“Mastro Torricello! L’opera è fatta! Lo stylum è forgiato e lucidato!”

“Bene! Traételo da costì!”

Come circondata da un cinguettar di miriadi di storni rintanati nella fucina, si udì la voce di Viviano:

“Ei non si fa traére!”

Stupefatto e angosciato, corse Mastro Torricello nel suo studio, tra le sue quasi infinite scartoffie, mormorando tra sé “il centro dei pesi, tralasciai il centro dei pesi! Ello gliè all’infinito! Tocca ricominciar tutto daccapo! E ormai è tardi!”

Il giorno dopo, rinfrancato non dal sonno ma da una notte di calcoli, Mastro Torricello ordinò: “Sia rifuso il tutto! Si risàgomi lo stampo!”

Mentre attendevano che, secondo nuove direttive, l’infinito stampo fosse risagomato in un tempo finito dall’infinita schiera di gnomi, Mastro Torricello e Viviano discorrevano tra loro.

“Ricordi, Viviano – diceva il Mastro – le strane richieste di Ser Chisciotto d’Ispagna, cavaliere fuori tempo, che desiderava uno stylum, una lancia per colpir da qualsiasi distanza, ma leggera e maneggevole? E che dir dello scudo che bramava, il clypeus, capace d’essere ostacolo a qualunque cosa provenga d’innanzi, ma, lui pure, di peso tollerabile?”

 

“Ricordo, Mastro Torricello. E ricordo le notti vegliate a calcolare il volume di uno stylum dal profilo iperbolico, finalmente trovato finito dalle vostre cogitazioni. Perciò ci risolvemmo a forgiar lo Stylum Torricellianum, infinitamente esteso ma di peso trasportabile”.

“Orbene, Viviano, troppo mi fidai del mio senno, e pensai che leggero e maneggevole andassero del pari, come buoi a giogo, ma così non è. Per questo stylum potevamo scegliere di profilo ogni iperbola, che fosse la conica o che gli fosse sottostante, iperbola demissa.

Potevasi prender anche una iperbola sovrastante alla conica, una iperbole elata, ma purché subelata, cioè non eccedente la iperbola elata secunda, ché tutte le iperboli superiori a questa, le superelatae, danno lance di peso infinito. Cattiva risoluzione fu quella di scegliere la iperbola conica, che a calcolar la posizione del centro dei pesi di lancia siffatta, lo si trova all’infinito, e nessun Ser Chisciotto sarà mai fatto capace a sollevarla.”

“Per le trippe di Vitruvio! E allora?” domandò quasi scoraggiato Viviano.

“E allora una notte di veglia mi ha fatto trovar la soluzione per lo stylum e anco per il clypeus, per miracolo di geometria e per gioia di Ser Chisciotto.

 

Ho trovato che il centro dei pesi non è tanto lungi da chi imbraccia lo stylum, purché il suo profilo si sottostìa all’iperbola conica, sia cioè iperbola demissa. Se dipoi vogliamo fabbricare, di materia finita, lo scudo circolare infinitamente esteso, il clypeus, non ci abbasta una iperbola demissa purchessìa, ma s’abbisogna una iperbola subdemissa, sottostante, cioè, alla iperbola demissa secunda. All’opera, orsù!”

Fu lo stylum un successo. L’infinita schiera di gnomi terminò la forgiatura e la lucidatura quasi prima di cominciare. Lo stylum da iperbola demissa fu estratto dallo stampo senza difficoltà, e risultò leggero, maneggevole, e capace di colpire a ogni distanza.

Per il clypeus, tuttavia, si presentò una difficoltà imprevista. Tanto immenso e tanto leggero, spiccò il volo prima ancora di essere terminato. Ma un’infinita schiera di minutissimi gnomi continuava il lavoro.

 

Mastro Torricello se ne andò poco tempo dopo, fiaccato dall’idrargirismo, e non vide mai più il suo scudo iperbolico.

 

Viviano gli sopravvisse per mezzo secolo. Una sera, mentre ormai anziano mirava le stelle, ebbe forse l’impressione di vedere lo scudo torricelliano, immenso e lontanissimo, solcare gli spazi siderali. Si dice che, vicino al termine della sua vita, abbia lasciato qualche memoria scritta di questi antichi avvenimenti.

Qualche tempo fa, dopo tanti secoli, qualcuno ha osservato in cielo uno strano oggetto, e ha pensato che fosse il primo oggetto interstellare mai osservato, battezzandolo con un nome esotico.

 

 

Avesse guardato bene lo avrebbe chiamato col suo nome: Clypeus Torricellianus Subdemissus.

 

 

 

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