Da un’area marina grande tre volte la città di Londra dipende buona parte dello stato di “salute” del sistema energetico mondiale. Un’area che si sviluppa lungo le coste del Qatar e dal quale passa oltre il 20% delle esportazioni globali di gas naturale liquefatto. Questa zona, se fosse colpita da una perdita di petrolio, metterebbe a rischio l’equilibrio energetico mondiale, con la completa chiusura per diversi giorni degli impianti di esportazione e di desalinizzazione sulla costa. Lo conferma uno studio pubblicato su Nature Sustainabilityda un team di ricercatori della Université catholique de Louvain, Belgio, della University of Southern California, della Viterbi School of Engineering negli Usa e del Qatar Environment and Energy Research Institute. Una “zona ad alta vulnerabilità” dove, in caso di una fuoriuscita di petrolio, le navi cisterna non potrebbero navigare a causa delle grosse chiazze. Inoltre, in queste condizioni gli impianti di desalinizzazione, che si basano sull’assunzione di acqua di mare, non potrebbero svolgere le normali operazioni con una fonte d’acqua fortemente inquinata, causando così, oltretutto, una devastante siccità senza precedenti per gli abitanti della penisola del Qatar. La capacità di esportazione del Qatar dovrebbe aumentare di circa il 64% nei prossimi cinque anni e questo significa che il Paese sarà sempre più un hotspot cruciale per la catena di approvvigionamento energetico globale. A fronte di questa prospettiva, si registra un aumento preoccupante di incidenti di navi cisterna nel Golfo che potrebbero rappresentare la miccia della catastrofe temuta dai ricercatori. Per giungere ai loro risultati, gli studiosi hanno utilizzato un sofisticato modello matematico, capace di mettere assieme ed analizzare dati sui trasporti marittimi, sulla circolazione atmosferica, sulle correnti oceaniche e sulle onde nella zona, assieme ai dati cartografici topografici dei fondali marini acquisiti in cinque anni. Lo studio individua il principale fattore di rischio nelle petroliere che attraversano quest’area piuttosto che nelle numerose piattaforme presenti nella parte settentrionale della penisola. Se ci fosse una fuoriuscita di petrolio nella zona individuata dai ricercatori come critica, il Qatar avrebbe solo pochi giorni per contenerla. Per far fronte a uno scenario così grave, lo studio suggerisce un immediato aumento del telerilevamento delle zone a rischio, utilizzando immagini satellitari per fornire un allarme il più tempestivo possibile. Sarebbero azioni cruciali, affermano i ricercatori, per guidare gli sforzi di contenimento degli sversamenti ed evitare le paventate conseguenze negative sia a livello locale che globale. Per Essam Heggy, tra gli autori dello studio e ricercatore dell’Usc Arid Climate and Water Research Center, la vulnerabilità del Medio Oriente ai rischi ambientali e climatici è ampiamente sottovalutata: “Il contenimento globale delle grandi fuoriuscite di petrolio è sempre stato impegnativo ma lo è ancora di più nelle acque poco profonde del Golfo, dove qualsiasi intervento deve tenere conto delle complesse dinamiche delle correnti, di un ambiente operativo ostile e della presenza di ecosistemi altamente sensibili”. Heggy ha auspicato un serio investimento “per risolvere questa vulnerabilità”. Per Emmanuel Hanert dell’Université catholique de Louvain, “la vulnerabilità da fuoriuscite di petrolio nel Golfo potrebbe esacerbare la crisi energetica globale e quella idrica locale nei paesi del Golfo. La sicurezza energetica e idrica sono del resto profondamente intrecciate ed entrambe rischiano di essere sconvolte da una grave fuoriuscita di petrolio”. A leggere lo studio e le considerazioni dei suoi autori, il pensiero corre all’Italia. Per avere un’idea più precisa della situazione, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, solo nei primi dieci mesi del 2022 l’Europa ha importato in tutto 12,5 miliardi di metri cubi di metano dal Qatar di cui la metà, circa 6 miliardi di metri cubi, sono approdati in Italia al terminale di rigassificazione al largo del delta del fiume Po, nel mare Adriatico. Il principale punto di importazione del gas del Qatar è il rigassificatore della Adriatic Lng, il quale immette il gas nella rete italiana a Cavàrzere (Venezia). L’impianto venne realizzato su progetto dell’italiana Edison ed è controllato dall’Exxon Mobil (70,7%) insieme con la Qatar Energy (22%) e l’italiana Snam (7,3%). Spesso vi attraccano navi metaniere da altre provenienze, secondo gli andamenti del mercato, ma l’impianto è mirato soprattutto a implementare il contratto forte di fornitura del Qatar all’Edison. L’Italia sta facendo un enorme sforzo per diversificare le sue fonti di approvvigionamento energetico a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. La recente missione del governo in Algeria, nella cornice di quello che viene chiamato “il Piano Mattei”, ha portato a una serie di accordi relativi al settore energetico tra i due Paesi. Più nello specifico, sono state sottoscritte due nuove intese tra Eni e Sonatrach, la compagnia di Stato algerina, che puntano a soddisfare ulteriormente il fabbisogno energetico sia attraverso la creazione di un nuovo gasdotto, funzionale anche al trasporto dell’idrogeno, sia alla posa di un cavo elettrico sottomarino e all’aumento della capacità di produzione di gas liquefatto. Il problema è che il Qatar è considerato proprio uno dei punti di riferimento della strategia di diversificazione delle fonti energetiche italiane e quindi, nel caso dovesse scatenarsi la “tempesta perfetta” nelle sue acque, l’Italia perderebbe uno dei capisaldi del suo futuro nel settore dell’energia.