Il senso dei numeri dei Neandertal

Nell’Origine dell’uomo, Darwin riesce con una sola frase, incisiva e sintetica nel suo elegantissimo inglese, a esprimere il senso della “seconda rivoluzione copernicana”, quella che ha tolto l’uomo dal suo posto al centro del mondo naturale. È anche – a giusto titolo – una delle sue frasi più citate (spesso però in modo non corretto): “The difference in mind between man and the higher animals, great as it is, certainly is one of degree and not of kind”. Il senso è che, rispetto agli animali più simili a noi, non sappiamo fare cose concettualmente diverse: sappiamo fare le stesse cose, ma in modo molto più elaborato. Questo vale per esempio per il linguaggio, per l’abilità di progettare e usare strumenti e perfino per la creazione più astratta della mente umana, la matematica. Non solo i primati, ma diverse altre specie di mammiferi, uccelli, pesci e perfino insetti sono in grado di “quantificare”, hanno cioè una rudimentale cognizione del concetto di numero – notoriamente una delle basi della matematica. La capacità essenziale per poter sviluppare un vero e proprio sistema matematico a partire dalle nozioni numeriche intuitive è quella di rappresentare i concetti matematici – a partire proprio dai numeri – utilizzando simboli. E questa sembra invece esclusiva di homo sapiens. O forse sarebbe meglio dire “sembrava”. Un gruppo di ricerca guidato da Francesco d’Errico, dell’università di Bordeaux, ha studiato antichi manufatti realizzati dai Neandertal, una delle tante specie umane che ci hanno preceduto al mondo, con cui abbiamo convissuto per migliaia di anni in Europa e Asia e con la quale ci siamo anche mescolati in una certa misura. È ormai ampiamente acclarato che i Neandertal diedero vita a una propria cultura; non è chiaro se i loro progressi furono autonomi o influenzati dagli sviluppi coevi dei Sapiens, ma è appurato che elaborarono una qualche forma primitiva di arte, di musica e probabilmente anche di religione. Fra le conquiste più elevate dello spirito umano mancava solo la matematica. D’Errico e colleghi hanno voluto indagare questo aspetto ancora poco chiaro. Lo scenario è un’area attualmente nota con il nome di Les Pradelles, vicino alla località di Marillac-le-Franc, nella Francia occidentale. La data, circa 60.000 anni fa. Il protagonista, un uomo di Neandertal che prese un femore di iena e per qualche motivo ci incise nove tacche. L’osso, scoperto negli anni Settanta, ha suscitato da allora la curiosità degli studiosi. Recentemente, lo ha analizzato il gruppo di D’Errico, composto da esperti provenienti da vari campi e dunque forte di competenze multidisciplinari, fra cui la filosofia e le neuroscienze, oltre naturalmente all’archeologia. L’interpretazione dei simboli preistorici è un campo minato, inevitabilmente basato sulle speculazioni: un ricercatore che esamina un manufatto neandertaliano si può paragonare a un alieno sbarcato sulla Terra che, entrando in una chiesa, cerca di interpretare il significato di affreschi e crocifissi. È evidente che il rischio di fraintendimenti è elevato. Tenendo presente questa premessa, i ricercatori da un lato hanno paragonato il reperto alle opere d’arte neandertaliane note, riscontrando differenze significative; dall’altro lo hanno trovato simile alle notazioni numeriche dei Sapiens primitivi, risalenti a circa 40.000 anni fa: hanno quindi ipotizzato che in questo caso lo scopo dell’incisore non fosse estetico, ma avesse appunto la funzione di rappresentare un numero. Forse ogni tacca stava per un animale, o un membro della famiglia, o forse un nemico ucciso. Non lo sapremo mai, e del resto non è importante: è il simbolismo il passaggio cruciale. Del resto, anche l’arte presuppone la capacità di astrazione, che quindi i Neandertal dovevano possedere. Se D’Errico ha ragione, è quindi sensato, e senza dubbio affascinante, ritenere il femore di Les Pradelles la prova, in una specie diversa dalla nostra, di un pensiero che oggi potremmo definire matematico.

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