Il Nobel che Einstein non avrebbe capito

Quello della fisica 2022 dato a Anton Zeilinger, Alain Aspect e John F. Clauser è forse un Nobel che a Einstein non sarebbe piaciuto. O meglio, non l’avrebbe capito. Lui, che ha sempre sostenuto la razionalità della natura guidata da un “Dio che non gioca a dadi”, si sarebbe dovuto arrendere all’evidenza: due particelle possono influenzarsi a vicenda anche quando sono a miliardi di anni luce di distanza. Fin qui nulla di strano. La bizzarria è che l’influenza reciproca si evidenzia istantaneamente violando, almeno apparentemente, il postulato secondo cui nulla può superare la velocità della luce nello spazio. Proprio per questo l’entanglement, assieme al principio di indeterminazione di Heisenberg secondo cui più si conosce una proprietà di una particella, meno precise saranno altre proprietà possedute della particella stessa, è un concetto che Einstein non ha mai digerito. Einstein basava la sua visione della meccanica quantistica sul determinismo e la località: un oggetto ha sempre proprietà ben precise e può essere influenzato solo dall’ambiente circostante perché qualsiasi interferenza non può viaggiare più veloce della luce. L’entanglement nega questa evidenza ed è uno dei quei misteri della fisica che fanno arrovellare il cervello a centinaia di scienziati: come possono due particelle “comunicare” in modo istantaneo anche a miliardi di anni luce di distanza? La stessa traduzione in italiano del termine entanglement è motivo di discussione. Può essere espressa come “intreccio”, “essere imbrigliati”, “groviglio” o anche “collegamento”. Quando una manifestazione apparentemente strampalata non può essere illustrata e chiarita in modo semplice, se ne accodano altre ancora più strambe. Così l’entanglement è spesso utilizzato come metafora per indicare l’attrazione fisica e sentimentale che due persone possono nutrire a vicenda. Famosa è la boutade di Noemi al Festival di Sanremo del 2018 che riprendeva una storiella che circolava su internet già da diversi anni, in cui si associava il fenomeno all’equazione di Dirac (scritta – e spesso anche tatuata – in modo sbagliato) descritta allora come “equazione dell’amore”. A parte la divertente sequela di tatuaggi della suddetta equazione che dovrebbero essere rifatti perché alcuni termini sono scritti in modo errato, l’equazione di Dirac non spiega l’entanglement, ma la possibilità dell’esistenza di particelle a energia negativa. Fu Schroedinger che, al pari del suo collega Albert non era a suo agio nel riconoscere la non prevedibilità di tutti i fenomeni quantistici, a introdurre il concetto di entanglement affermando che due particelle il cui singolo stato quantistico è ignoto hanno valori complessivi noti. Nel 1935 Boris Podolsky, Nathan Rosen e Albert Einstein assunsero che, conoscendo lo spin di un elettrone, un altro elettrone, correlato a esso e distante anche anni luce, avrebbe posseduto uno spin opposto. Il problema che si poneva era come potessero le due particelle interagire e comunicare contemporaneamente il loro stato quando si trovavano a distanze di anni luce. Einstein chiamò questa correlazione “inquietante azione a distanza” perché le interferenze, secondo la teoria della relatività, non possono viaggiare a una velocità maggiore di quella della luce. Secondo Einstein, allora, avrebbero dovuto esserci delle variabili nascoste (o probabilità) per coordinare l’azione di interferenza tra due particelle (teoria Epr). Nel 1964 John Bell, fisico teorico del Cern, ipotizzò un esperimento in cui si sarebbe riusciti a capire se le due particelle intrecciate avessero stati quantistici ben determinati sin dall’inizio, come ipotizzato dalla teoria Epr o se, come sosteneva la Scuola di Copenaghen, i loro stati si determinassero solo a seguito delle osservazioni. Partendo dal lavoro di Bell, John F. Clauser, Alain Aspect e Anton Zeilinger hanno iniziato ad approfondire il tema, come giustamente ha sottolineato il comunicato del comitato per il premio Nobel che ha motivato la scelta per l’assegnazione nel 2022 con gli “esperimenti con fotoni entangled, che hanno stabilito la violazione delle disuguaglianze di Bell e hanno aperto la strada alla scienza dell’informazione quantistica”. Clauser, che come Einstein credeva che lo scambio di informazioni nell’entanglement fosse in realtà un errore di interpretazione della meccanica quantistica, dimostrò nel 1972 che due particelle erano correlate tra loro ma che questa correlazione si mostrava solo dopo che un osservatore interferiva con loro, dando quindi ragione alla Scuola di Copenaghen. Quando andiamo a misurare una proprietà (ad esempio lo spin, cioè il verso di rotazione) di una particella, la sua “gemella” assume la corrispondente proprietà opposta (semplificando al massimo, se misuriamo il senso di rotazione di una particella, la sua omologa assume un senso di rotazione contrario a quello misurato). E prima dell’osservazione? Sin quando non interferiamo con le particelle, i loro stati rimangono indefiniti in quella che in termini tecnici si definisce una sovrapposizione di stati. Una volta però compiuta l’osservazione su una qualsiasi delle due particelle, queste risulteranno per sempre “individualizzate”, cioè lo stato di entanglement cesserà di esistere. Inoltre, dato che le particelle inviate da una sorgente non partono già con proprietà ben determinate, esse assumeranno valori casuali quando andremo a misurarli. Nessuna variabile nascosta, quindi, che obblighi le particelle ad avere, sin dall’inizio, valori ben precisi. Clauser ha quindi dimostrato che l’entanglement, anche se fosse reale, non può essere utilizzato per scambiare informazioni a una velocità più veloce della luce. Dieci anni dopo, il fisico francese Aspect, allora professore all’università di Parigi, ha ripreso l’esperimento di Clauser misurando la polarizzazione dei fotoni quando questi viaggiavano alla velocità della luce e quindi, secondo la teoria di Einstein – che Aspect stesso riteneva esatta – non avrebbero potuto comunicare l’uno con l’altro. Sorprendentemente, l’esperimento dimostrò invece che, misurando la polarizzazione di un fotone, il suo corrispondente fotone intrecciato variava la propria polarizzazione in modo contrario: l’entanglement era un fenomeno che avrebbe potuto avere applicazioni pratiche. La definitiva dimostrazione che l’entanglement descritto nella meccanica quantistica esisteva e avrebbe potuto essere usato per scopi ingegneristici fu opera di Anton Zeilinger, professore dell’università di Vienna. Nel 1998 provò a inviare impulsi a coppie di particelle entangled facendo cambiare ad una la direzione di polarizzazione in modo assolutamente casuale. L’esperimento di Zeilinger confermò il test del collega francese e aggiunse la teoria del cosiddetto teletrasporto quantistico (che non è il teletrasporto di Star Trek), cioè la trasformazione di uno stato quantistico da una particella ad un’altra a distanze enormi. Ma che risvolti pratici potrebbero avere le scoperte dei tre fisici? In una parola sola, immense. Determinare stati quantistici a distanze enormi “a tempo 0” permetterà di sviluppare nuovi computer in grado di gestire una quantità gigantesca e complessa di dati (quelli che oggi chiamiamo computer quantistici) e renderebbe sicuro l’invio di informazioni senza timore che queste vengano hackerate. Gli algoritmi dei computer quantistici permetterebbero anche di risolvere simulazioni di molecole complesse in campo chimico, fisico e farmacologico e di creare modelli climatici, finanziari, logistici che aiuterebbero a risolvere crisi settoriali.

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