Una scuola media unica: la riforma che aprì la scuola a tutti

La data è quella del 31 dicembre 1962. 60 anni fa l’istituzione della scuola media unica cambiava in modo evidente il panorama del sistema educativo italiano. La riforma avrebbe dato un impulso decisivo alla scolarizzazione di massa come la conosciamo oggi: progressivamente, tutti avrebbero continuato ad andare a scuola dopo la quinta elementare mentre, ancora a metà degli anni Cinquanta, il 65% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni non frequentava le scuole secondarie. Prima della riforma, il nostro sistema scolastico prevedeva dopo le elementari una netta biforcazione (per chi proseguiva gli studi): c’era la scuola media per quelli che presumibilmente avrebbero frequentato poi le superiori e c’era invece la scuola professionale, commerciale o industriale, per chi era destinato ad andare presto a lavorare. Non a caso si chiamava “l’avviamento”, con materie dai nomi oggi pressoché scomparsi dalla memoria collettiva come calligrafia, stenografia, computisteria. Alla scuola media invece si insegnava latino – ma, anche qui, chi ricorda l’ora di “economia domestica” per le ragazze? – e vi si accedeva dopo aver superato non solo l’esame di licenza elementare ma anche uno specifico esame di ammissione. La nascita della scuola media unica non è stata affatto facile. La sua gestazione è risultata particolarmente lunga. Ne parlava già il ministro Bottai negli ultimi anni del fascismo. Il tema viene ripreso, dopo la Liberazione, dalle forze politiche progressiste, marxiste e cattoliche, che chiedono una scuola media unica obbligatoria per incentivare l’ingresso a scuola dei figli dei lavoratori e al tempo stesso rinnovare gli orientamenti culturali del nostro sistema di istruzione. Poi, dopo il ‘48, con la rottura tra i partiti antifascisti, sembra affermarsi la linea della continuità con la scuola gentiliana. Il progressivo sviluppo in senso industriale della nostra economia richiede però un maggior numero di lavoratori qualificati e a metà degli anni Cinquanta riprendono vigore le argomentazioni a favore di una scuola aperta a tutti e il cui asse culturale sia costituito dalle conoscenze tecnico-scientifiche. La polemica tra i partiti e nell’opinione pubblica diventa molto forte e non mancano mini-riforme avviate per disinnescare la miccia della “grande riforma”: all’inizio del 1959, nell’esame di licenza di terza media è abolita la traduzione dall’italiano in latino(!); l’anno dopo viene soppresso l’esame di ammissione per entrare nella scuola media e istituita una scuola media sperimentale con il latino e le applicazioni tecniche come materie opzionali. Fino alla fine si tenta di annacquare l’unitarietà della nuova scuola media. Il vento, politico e culturale, soffia però in favore della riforma che il 31 dicembre 1962 diventa legge dello Stato. Il latino rimane, ma facoltativo. I punti qualificanti della riforma sono: l’effettiva obbligatorietà degli 8 anni di istruzione; l’unicità della scuola media inferiore, per procrastinare la scelta se continuare o meno gli studi (e lungo quale percorso eventualmente continuare) e per alleggerire gli handicap iniziali derivanti dall’ambiente familiare e sociale, dando a tutti le stesse opportunità; il tentativo di individuare per l’educazione dei giovani un nuovo asse culturale, più aperto alla modernità e alle nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche. Ma ai nuovi orientamenti si deve adeguare anche la didattica delle materie scientifiche e non è un caso che il professore di matematica sia incaricato anche dell’insegnamento di “osservazioni scientifiche” e dei primi elementi di scienze naturali (con tutte le conseguenti polemiche sulla sua impreparazione ad affrontare questi argomenti). Ha fatto fatica a nascere, la scuola media unica, e adesso le rinfacciano le rughe dei suoi 60 anni. C’è chi sogna i “bei tempi che furono”, c’è chi vorrebbe “elementarizzarla” con un più marcato approccio psico-pedagogico. C’è chi invece trova corretta la corrispondenza tra cicli della vita e cicli scolastici ma in ogni modo parla della necessità di una revisione più o meno profonda. C’è chi fa riferimento alle comparazioni internazionali per mettere in evidenza una scuola primaria italiana competitiva e invece una scuola media come l’anello debole che non favorisce lo sviluppo di competenze. Cara (vecchia?) scuola media, comunque, buon compleanno!

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