Lombardo Radice, intellettuale e matematico

Nel mondo matematico è stato l’emblema dell’intellettuale impegnato, dell’uomo di studio che si sente parte di una società in continua trasformazione e mette la propria cultura al servizio del cambiamento. Erano gli anni in cui le suggestioni che venivano dalla Francia con Camus, Sartre e Simone de Beauvoir godevano da noi di grande attenzione con i nomi tra gli altri di Vittorini, Calvino, Pasolini, Moravia, Geymonat, Eco e Asor Rosa. Lucio Lombardo Radice si era laureato a Roma nel 1938. Dopo la fine della guerra, era tornato ad occuparsi di studi matematici muovendosi tra geometria e algebra. Il suo nome rimane legato in modo particolare all’introduzione nel corso di laurea in matematica dell’insegnamento di algebra (astratta). La riforma che lo rese obbligatorio al primo anno è del ‘61 e Lombardo Radice ne fu uno dei più appassionati sostenitori. L’algebra non è più il calcolo numerico e letterale con i numeri reali (o complessi) e la conseguente presentazione delle regole necessarie per manipolare le “terribili” espressioni algebriche che compaiono nelle equazioni. Considera invece un insieme qualsiasi, senza specificare la natura degli elementi che lo costituiscono, e studia le diverse strutture che vi si possono definire, ossia le differenti proprietà delle operazioni eseguibili con i suoi elementi. I risultati ottenuti per una struttura astratta possono poi essere applicati con grande economia di tempo e di pensiero a tutti quegli insiemi “concreti“, cioè specifici, che rientrano ora come casi particolari. Nel ‘65 Lombardo Radice pubblica le Istituzioni di algebra astratta e nella prefazione del volume scrive: “Se avessi pensato (se pensassi) che la matematica è solo tecnica e non anche cultura generale; solo calcoli e non anche filosofia, cioè pensiero valido per tutti, non avrei fatto il matematico (non continuerei a farlo)“. L’altra grande passione della sua vita è stata la politica. Già nell’estate del ‘37 faceva parte del primo nucleo dei comunisti romani. Viene presto arrestato e passa in isolamento un periodo di detenzione a Regina Coeli. Il Tribunale Speciale lo condanna a quattro anni di carcere per attività antifasciste. Liberato alla fine del ‘41, è nuovamente arrestato nel maggio del ‘43 per la pubblicazione di un foglio comunista clandestino che doveva essere distribuito in piazza San Pietro durante la benedizione papale. Questa volta rimane in carcere solo poche settimane perché viene liberato il 25 luglio, dopo la caduta del duce. Nel dopoguerra diventa una figura politica di rilievo nazionale come dirigente politico del Partito comunista. Militante e personalità di primo piano, nel partito rimarrà per tutta la vita ma a partire dagli ultimi anni Sessanta si ritaglierà uno spazio come spirito libero, talora dissidente, amico dei dissidenti del suo stesso partito. Così non arriverà mai a far parte dei vertici del Pci, anche per la scelta di non abbandonare gli studi matematici e l’impegno universitario. La sua unica esperienza istituzionale rimarrà quella di consigliere comunale a Roma dal ‘76 al ‘81. Per Lombardo Radice la scuola ha rappresentato l’anello di congiunzione tra attività scientifica e impegno politico. Quella verso i problemi dell’insegnamento è stata un’attenzione costante. Nel ‘55 aveva fondato la rivista La riforma della scuola che per 35 anni esprimerà la linea del partito comunista sui problemi della scuola. Negli anni della contestazione studentesca difende a spada tratta l’importanza dello studio e della cultura scientifica: “Senza calcolatori e senza cibernetica (…) l’uguaglianza tra gli uomini potrà essere realizzata solo come uguale indigenza, non come uguale onnilateralità e ricchezza individuale”. Matematico, politico e tante altre cose. Si può dire che non ci sia stata nel secondo dopoguerra battaglia culturale e politica che non lo abbia visto tra i protagonisti. È stato un intellettuale impegnato fino alla morte, che lo ha colto a Bruxelles mentre partecipava ai lavori preparatori alla seconda Conferenza mondiale per il disarmo nucleare. Negli anni ‘70 aveva espresso ripetutamente, anche all’interno del partito, i propri dubbi sulla natura socialista dell’Unione sovietica sostenendo che si trattava in realtà di uno Stato monolitico e autoritario. Tra i comunisti è stato uno dei più attenti e tempestivi osservatori delle novità che stavano cambiando il mondo cattolico con il pontificato di Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II e in più occasioni ha sollecitato il dialogo tra credenti e non, anzitutto come necessità umana e poi come scelta politica funzionale a trovare un’intesa per risolvere i problemi del Paese. È stato un grande divulgatore della cultura scientifica, quando ancora nel mondo accademico la divulgazione era guardata con molti sospetti. Ha scritto libri di testo ma pure di riflessione pedagogica e di carattere storico. Ha progettato e realizzato trasmissioni televisive di divulgazione scientifica. Si è divertito a fare l’attore in Non ho tempo, un film sulla figura del matematico francese Évariste Galois, ma anche ne La terrazza di Ettore Scola (1980) con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. Di lui il fisico Carlo Bernardini scriverà: “Navigava tra l’algebra, la storia, il marxismo, la pedagogia, la letteratura, la biologia, l’arte, la teologia e la religione; amico di politici, preti, fisici, giuristi, giornalisti, sociologi, linguisti, a ciascuno dei quali era caro per il pensiero che poteva dare e che generosamente elargiva”.

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