Tradizionalmente le ragazze imparavano a fare la maglia quasi per osmosi dalle mamme o dalle nonne o da altre donne che frequentavano la casa. Una volta era così. Un capo di vestiario nuovo era costoso, o almeno in proporzione era molto più costoso di adesso, e non c’era niente di meglio di un maglione nuovo di lana colorata o con un bell’intreccio per festeggiare qualsiasi occasione importante. Le donne, grandi e piccole, lavoravano spesso in compagnia, nelle ore di relax, chiacchierando al ritmo del ticchettio dei ferri. D’estate con il filo di cotone, d’inverno con quello di lana. Si creavano cose belle e utili, scambiandosi modelli e punti e contribuendo all’economia della famiglia. Nel libro di Loretta Napoleoni Sul filo di lana (Mondadori, 2019) si attribuisce a questa attività un valore quanto mai prezioso. Il libro è interessante e articolato su vari piani; s’innesta sulla riscoperta del lavoro a maglia, quasi dimenticato dalle nuove generazioni ma in parte rivalutato negli ultimi vent’anni. La verità è che la produzione dei manufatti lavorati a maglia, universalmente diffusa fino agli anni Settanta del secolo scorso, non è più necessaria come una volta; i maglioni confezionati si trovano a buon prezzo, spesso minore dell’acquisto della lana che servirebbe a confezionarli, e il lavoro a maglia è stato retrocesso pian piano a livello di hobby. Negli ultimi vent’anni invece è cominciato un processo di rivalutazione attraverso il quale si sottolineano aspetti importanti che vanno molto al di là della semplice produzione di capi caldi. Anzitutto, l’importantissima funzione sociale: i nuovi circoli della maglia sono punti di ritrovo dove si lavora e si chiacchiera, e possono avere una valenza significativa per stabilire nuove amicizie o mantenerne di vecchie o favorire l’inserimento di stranieri immigrati che possono portare il loro contributo con lo scambio di modelli e punti provenienti da culture diverse. La trasversalità tra le generazioni è inoltre un altro punto di forza, e non ultimo il potere taumaturgico di un’attività ripetitiva, un po’ ipnotica, che rilassa e consola, una specie di yoga per la mente che rallenta il battito cardiaco. Il libro analizza anche altri aspetti importanti della maglia, come gli odierni movimenti ecologisti per l’ambiente, che utilizzano lavori a maglia per fasciare alberi o creare panorami misti e colorati di maglia e piante per convogliare l’attenzione sui problemi di un pianeta che soffre. Oppure l’uso della maglia come strumento di lotta sociale contro la globalizzazione. Sono attività creativo-rivoluzionarie che si ricollegano ad altre azioni rivoluzionarie compiute nella storia da magliaie che hanno contribuito in modi ingegnosi all’esito positivo delle guerre che stavano vivendo, usando il diritto e il rovescio del lavoro a maglia anche per scrivere in codice messaggi cifrati e portarli a destinazione semplicemente indossandoli. Come per esempio ci racconta la storia delle donne francesi che, con il Paese occupato dai nazisti, scelsero proprio la maglia per inviare informazioni agli Alleati in procinto di sbarcare in Normandia. Loretta Napoleoni racconta in modo sentito e interessante di tanti altri aspetti che riguardano l’importanza di questa attività antichissima e in qualche modo da sempre collegata agli esseri umani. Un piccolo riferimento viene fatto anche alla relazione maglia-matematica. L’autrice cita alcuni lavori scientifici dove si propongono superfici iperboliche lavorate a maglia, per poterle mostrare in tre dimensioni in modo diretto e intuitivo. Alcuni anni fa, diciamo negli anni Cinquanta, quando una ragazzina curiosa osava intromettersi e commentare conversazioni di uomini su qualsiasi argomento che esulasse dalla vita casalinga, sia che fossero conversazioni di filosofia o politica o che riguardassero il gioco degli scacchi o gli investimenti finanziari, veniva redarguita con affermazioni del genere: “Ma cosa vuoi capirne tu, vai a fare la maglia!”. Il lavoro a maglia, nella sua ripetitività e compostezza, apparentemente era un’attività molto più confacente all’educazione delle giovani donne. Quello che quei signori ignoravano era che la maglia invece è una formidabile palestra per i cervelli in formazione delle esecutrici, soprattutto per quelle dotate di una mente matematica o di un talento artistico-creativo. La maglia richiede una certa capacità tecnica che si può acquisire velocemente imparando i punti elementari, il diritto e il rovescio e poche altre nozioni per potercisi cimentare. Un modello si può semplicemente copiare così com’è oppure, e questo succede quasi sempre, se ne devono modificare le misure, operazione che richiede di eseguire proporzioni per trovare il giusto numero di maglie rispetto ai centimetri voluti. A un modello si possono applicare anche modifiche più significative che richiedono simmetrie, riflessioni, traslazioni o rotazioni e ancora proporzioni. Un nuovo modello può richiedere una notevole capacità di immaginare il risultato di intrecci e trafori. Uno schema progettato completamente richiede ancora una marcia in più e una notevole capacità di astrazione che permetta di ottenere complicate geometrie alternando opportunamente i pochi punti base, il diritto e il rovescio. Quando poi si inseriscono intrecci complessi e trafori, si aggiungono complicazioni ulteriori dovute al conteggio continuo delle maglie, “cresciute” e “calate”. Questo perché il risultato della maglia lavorata deve essere normalmente una superficie a due dimensioni ed è necessario quindi bilanciare aumenti e diminuzioni. In caso contrario, si arriva a risultati diversi, come per esempio le superfici iperboliche che si ottengono aumentando opportunamente il numero di maglie. La magliaia può lavorare con due ferri, alternando sul ferro tenuto dal braccio sinistro il diritto e il rovescio del lavoro oppure con un ferro circolare lavorando a spirale sempre sul diritto del lavoro. Consideriamo la lavorazione con due ferri: una maglia lavorata a diritto su un ferro si vede come un rovescio sul ferro successivo, quindi un punto opposto dell’altro a seconda dell’osservazione. Nel caso di un errore, cosa comune con modelli complicati, non si vorrebbe disfare tutto il lavoro: risistemare le cose prevede di saper correggere sia sul rovescio sia sul diritto del lavoro, eseguendo continuamente operazioni di ripescaggio maglie, intrecciate nel modo opportuno, sempre ragionando su come la maglia salvata debba apparire. La spiegazione di un modello, cioè le indicazioni che una magliaia deve seguire per realizzare un prodotto finito, è un esempio di algoritmo, scritto in un linguaggio comprensibile da parte di chi esegue il lavoro. L’algoritmo è descritto con un linguaggio che spiega come ottenere il lavoro, ferro dopo ferro. Ma poiché il lavoro prevede normalmente molte ripetizioni, il linguaggio usa una forma compatta per indicarle, simile a quella dei linguaggi formali.