Il Dopoguerra della scienza

Da Olivetti a Mattei fino al premio Nobel a Natta. Dalla riflessione storica sul periodo che va dal 1945 al 1968 emerge come il progresso scientifico sia possibile anche partendo da condizioni non del tutto favorevoli. Ma va organizzato e coltivato. Allo stesso modo del progresso civico

Per i boomer, parlare della storia italiana della seconda metà del Novecento significa raccontare l’autobiografia della propria generazione. Per i matematici e in generale gli uomini di scienza nati tra il 1945 e il 1965 – questo è l’arco di tempo che identifica i boomer – ricostruire la storia della scienza in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale significa ripercorrere le tappe della propria formazione, incontrare i nomi dei propri professori, vedere svilupparsi quelle idee sulle quali sono poi cresciuti sui banchi di scuola e università.
È il piacere dei ricordi ma non si tratta solo di alimentare una nostalgia da “reduci“. Alla storia, alla storia moderna e a quella della scienza in particolare, abbiamo sempre attribuito il compito di farci capire il presente. Di darci delle chiavi di lettura per orientarci in quello che sta succedendo, non sempre chiaro, spesso confuso nelle sue prospettive. È con questo spirito che nel 1986 – a proposito di ricordi… – abbiamo organizzato a Gargnano sul Garda il convegno sulla matematica italiana tra le due guerre mondiali che ha segnato in Italia l’avvio degli studi storico-matematici sui rapporti tra scienza e società nel ventennio fascista.

Con lo stesso spirito, abbiamo organizzato quest’anno il convegno “L’Italia degli scienziati. 1945-1968“ che si terrà a Perugia dal 12 al 14 aprile e che per il Centro Pristem e il Comitato promotore – Gianni Battimelli, Simonetta Di Sieno, Gianni Paoloni e Gianluca Vinti, oltre al sottoscritto – rappresenta l’avvio della riflessione storica sul periodo successivo, quello appunto dei due decenni che seguono la fine della seconda guerra mondiale.

Vuole essere, il nostro, anche un contributo ai programmi di educazione civica da sviluppare a scuola, mostrando come il progresso scientifico vada organizzato e coltivato, non affidandosi solo alla sua spontaneità, e come poi questa organizzazione contribuisca in modo decisivo allo sviluppo sociale e culturale di una nazione.

A Perugia parleremo, con riferimento alle discipline scientifiche, degli anni della ricostruzione dal ‘45 al ‘57, dei conti con il fascismo che l’epurazione avrebbe dovuto fare, dei primi “miracoli“ italiani in un Paese ancora alle prese con la “tessera del pane“ e le macerie lasciate dai bombardamenti e dalla guerra civile, della ripresa della cooperazione internazionale e dell’istituzione delle prime organizzazioni europee. Arrivano poi, con il ‘58, gli anni del boom economico con la diffusione della televisione (ovviamente in bianco e nero) e in generale un certo benessere economico che comincia a coinvolgere fasce più larghe della borghesia. Per la scienza italiana sono gli anni del consolidamento di alcune “scuole“ e della loro consacrazione a livello internazionale; delle avventure tra industria, politica e scienza di Adriano Olivetti; di Felice Ippolito e dell’energia nucleare; di Enrico Mattei; della diffusione della “matematica moderna“ proprio mentre va in porto la riforma della scuola media unica; del premio Nobel per la chimica a Giulio Natta.

Poi, il Sessantotto, con l’irruzione di una nuova generazione di studenti e studiosi e nuovi temi sociali. Si arriva a mettere in discussione lo stesso concetto di progresso scientifico. Ci si chiede se ha senso andare sulla Luna mentre sulla Terra si continua a morire di fame. Del resto, lo cantava anche Celentano ne “Il mondo in Mi 7a ” (1969): “Leggo che/ Sulla terra/ Sempre c’è/ Una guerra/ Ma però/ Per fortuna/ Stiamo arrivando/ Sulla Luna/ Mentre qui/ C’è la fame/ C’è la fame!”.

Sono stati anni duri, quelli del ventennio ‘45-‘68, in cui il benessere del “miracolo economico” è stato raggiunto a costo di notevoli sacrifici che hanno pesato soprattutto su certe classi sociali e sulle regioni del Mezzogiorno. Per cantare le “Marie con le labbra di corallo e gli occhi grandi così”, Sergio Endrigo scriverà il “Treno che viene dal Sud”. La nostalgia dei boomer e dei “bei tempi passati” trova subito dei precisi antidoti.

Rimane però la convinzione che assistiamo in quel ventennio alla formazione di una classe dirigente che un’idea ce l’aveva per la (ri)costruzione del Paese! Che non andava avanti a furia di improvvisazioni e di una comunicazione priva di contenuti. Ci sono, anche a livello scientifico, figure esemplari che non è giusto ridurre a “santini“ ma che esemplari rimangono. Non giganti, ma donne e uomini che ci hanno permesso di salire sulle loro spalle e vedere più lontano e con maggiore chiarezza.

 

Non perderti tutti gli altri articoli, i dossier, le rubriche e i giochi matematici di Prisma! Corri in edicola o acquista qui il pdf!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dimensione massima del file: 50MB Formati consentiti: jpg, gif, png Drop file here