Dio salvi Leibniz!

Non troppo tempo fa molti di noi hanno assistito per la prima volta all’incoronazione di un re del Regno Unito. I protocolli reali, le uniformi sgargianti e un po’ buffe indossate da impacciati funzionari e ufficiali e la formalità dell’etichetta di corte sono stati dispiegati dopo settant’anni destando curiosità un po’ in tutto il mondo. Quei gesti, quelle formule rituali e quel protocollo sono ovviamente un retaggio del passato, come lo è il concetto stesso di monarchia. In realtà, quella britannica è una creazione abbastanza recente che nulla ha a che vedere con re Artù o con Riccardo Cuor di Leone. Il processo di unificazione fra Inghilterra, Scozia e Irlanda, che ha dato luogo al Regno di Gran Bretagna, si è protratto per gran parte del travagliato Seicento e si è concluso solo nel 1707. Dopo un periodo di ribellioni, il Regno d’Irlanda si è definitivamente fuso con il Regno di Gran Bretagna un secolo dopo e solo nel 1922 si è compiuta la “secessione” dell’Irlanda repubblicana con la conseguente annessione dell’Irlanda del Nord a quello che oggi è il Regno Unito. Questa storia ha una complessità che non affrontiamo in questa sede. Ci concentriamo piuttosto (sarà chiaro poi il perché) sull’atto giuridico che ha dato luogo alla creazione del Regno di Gran Bretagna unificando l’isola sotto un’unica corona nel 1707, il cosiddetto Act of Settlement del 1701. Alla metà del Seicento, re Carlo I Stuart (omonimo dell’attuale) fu giustiziato per alto tradimento. Per una decina d’anni la monarchia fu abolita in Gran Bretagna, per poi essere restaurata dal figlio Carlo II nel 1660. Ma ormai l’epoca degli Stuart era al tramonto: nel 1688 l’ultimo loro monarca, Giacomo II, per giunta cattolico, fu deposto e la figlia Mary sposò uno straniero, l’olandese Guglielmo d’Orange, di fede protestante, cosa che ne favorì la popolarità e l’accettazione come re Guglielmo III (e Guglielmo II in Scozia!). Guglielmo non ebbe figli e la sua successione divenne una questione intricata. Ecco perché nel 1701, un anno prima della sua morte, fu sancito l’Act of Settlement che avrebbe dovuto assicurare una successione stabile e soprattutto protestante alla corona britannica e garantire il sistema parlamentare (la cui abolizione era costata il patibolo a Carlo I). La linea di successione stabilita passava per Sofia del Palatinato, nipote del re scozzese Giacomo I: la ricostruzione di questa successione fu materia assai delicata, anche per l’opinabilità dei diritti che le varie casate europee, tutte in qualche modo imparentate fra loro, potevano vantare (a un certo punto furono presi in considerazione persino i Savoia). Questa complicata storia di aspiranti monarchi al trono britannico ci interessa perché un personaggio centrale nel mettere a punto l’Act of Settlement è stato uno dei maggiori pensatori del suo tempo: Gottfried Wilhelm Leibniz. Come tutti gli studiosi della sua epoca, Leibniz viveva del favore di potenti nobili che gli garantivano uno stipendio e la possibilità di applicarsi agli studi e ai suoi numerosissimi interessi, che spaziavano dalla filosofia alla logica, dalla matematica alla fisica, dalla giurisprudenza alle scienze politiche, dalla teologia alla linguistica. Genio universale, Leibniz è una delle figure chiave del pensiero filosofico e scientifico fra Sei e Settecento, non fosse altro perché condivide con il sommo Newton la scoperta del calcolo differenziale e integrale, una teoria che ha avuto un’influenza decisiva sul corso del pensiero umano, in particolare quello scientifico e tecnico. Nel 1673, mentre era a Londra per presentare alla Royal Society la sua calcolatrice meccanica (Leibniz fu anche antesignano dell’informatica!), i suoi mecenati vennero a mancare e il filosofo si vide costretto a trovarne altri. Accettò quindi l’invito ad Hannover da parte del duca Federico di Brunswick, sebbene avrebbe sicuramente preferito un incarico a Parigi o presso gli Asburgo. Giunto ad Hannover nel 1676, passando per Parigi, Londra e l’Aia, si mise al servizio del duca con il quale sarebbe restato per il resto dei suoi giorni. Le sue mansioni erano quelle di consigliere politico, storico e bibliotecario ma si occupò un po’ di tutto: dalla politica alla teologia e persino di mulini a vento che propose di usare per ottimizzare il lavoro nelle miniere. L’idea si rivelò infruttuosa e minò la sua credibilità scientifica agli occhi dei suoi protettori. In effetti, i suoi mecenati non erano entusiasti dell’attività del loro protetto. Il primo incarico che gli avevano assegnato era stato di redigere una storia del loro casato ma il filosofo prese il compito così seriamente da ricercare e verificare ogni dettaglio possibile nelle biblioteche di tutta Europa, andando a rilento e non producendo la snella e apologetica storia del blasone che i duchi si aspettavano. Stava inoltre covando la sua polemica con Newton per la priorità nella scoperta del calcolo infinitesimale il cui esito alla fine, nel 1711, gli sarebbe stato sfavorevole sebbene sia ormai accertato che sia lui sia Newton abbiano avuto l’idea in modo contemporaneo e indipendente. Maggior favore Leibniz lo ebbe presso le nobildonne della casata, in particolare Sofia del Palatinato che, come abbiamo detto, l’Act of Settlement avrebbe indicato come legittima erede della corona britannica. In quanto consigliere politico, storico e giurista di fama riconosciuta, Leibniz partecipò attivamente alla definizione e messa a punto dell’Act. Sofia non era entusiasta dell’offerta e forse l’avrebbe volentieri declinata, ma Leibniz la consigliò altrimenti e, nel corso delle estenuanti trattative fra il 1689 e il 1701 affinché gli Hannover ascendessero al trono britannico, ebbe un ruolo di primo piano. A suo avviso, era l’egemonia del Re Sole che andava contrastata con un fronte protestante che non poteva rischiare di cedere ai cattolici nessuno dei regni britannici. All’epoca non erano infrequenti conversioni a scopo puramente politico, tanto che uno dei figli del deposto Giacomo II era cresciuto presso la cattolicissima corte di Versailles. Il supporto di Leibniz agli ambasciatori inglesi coinvolti nelle trattative fu fondamentale: il filosofo produceva memoriali su memoriali enumerando le argomentazioni giuridiche, politiche e storiche che indicavano nella casa di Hannover la corretta linea di successione al trono inglese. Nel frattempo, la mortalità fra gli eredi al trono britannico subì un’impennata: Maria, moglie del re Guglielmo III, morì di vaiolo a 32 anni senza lasciare figli mentre la sorella Anna, che avrebbe potuto aspirare con i suoi eredi al trono, vide morire a uno a uno i suoi diciassette figli, l’ultimo dei quali, undicenne, nel 1700. Morto anche Guglielmo III nel 1702, la corona finì nelle mani (o sulla testa) di Anna, rimasta l’unica e ultima legittima erede al trono. Ma provvidenzialmente, nel 1701 l’Act of Settlement aveva sancito che, alla morte di Guglielmo e di Anna, Sofia del Palatinato e la sua discendenza sarebbero stati i legittimi eredi al trono. Dall’Act a oggi ci sono stati tredici monarchi britannici, l’ultimo dei quali, fresco di insediamento, è proprio Carlo III. Un aspetto innovativo, se così vogliamo dire, dell’Act era che imponeva ai regnanti e ai loro consorti di essere protestanti e al re di giurare fedeltà alle chiese di Inghilterra e Scozia (e ora anche di Irlanda del Nord, come abbiamo visto fare a Carlo III poche settimane fa). Dal 2013, però, un nuovo Succession to the Crown Act consente che i consorti del re o della regina possano essere cattolici. Nel frattempo, il figlio di Sofia, Giorgio Ludovico di Hannover, aveva “ereditato” Leibniz come consigliere e bibliotecario dai duchi suoi predecessori senza tuttavia saperne apprezzare il valore, ma anzi divenendo sempre più insofferente nei confronti del suo dotto ma noioso e forse scomodo filosofo. Gli anni seguenti l’Act furono per Leibniz sempre più difficili anche dal punto di vista finanziario. L’unico impegno cui Giorgio voleva che il filosofo attendesse era la prosecuzione dell’immenso lavoro storico sul casato di Hannover. A complicare le cose per Leibniz intervenne nel 1714 la morte della sua protettrice Sofia, che quindi non giunse mai al trono assegnatole dall’Act. Anche la regina Anna morì poco dopo e quindi Giorgio Ludovico si trovò a essere il nuovo monarca del Regno di Gran Bretagna, carica che assunse con il nome di Giorgio I. Con la sua corte si trasferì a Londra per prendere possesso della corona ed esercitare i suoi diritti. Lasciò Leibniz ad Hannover impedendogli di seguirlo e per giunta senza stipendio, che gli era già stato sospeso nel 1713 per punire il filosofo di un suo viaggio a Vienna non autorizzato. Oramai solo e letteralmente abbandonato, Leibniz terminò la sua esistenza in una sorta di esilio e morì nel 1716. Al suo funerale, malgrado Giorgio I si trovasse nelle vicinanze di Hannover, partecipò solo il suo segretario (che peraltro aveva tramato per succedergli). La sua tomba rimase a lungo senza iscrizione e nessuna delle società scientifiche, che con i suoi lavori aveva contribuito a rendere grandi, gli rese il benché minimo tributo con l’eccezione dell’Académie Royale des Sciences di Parigi mercé l’interessamento della duchessa di Orleans, che di Leibniz era ammiratrice. Un finale triste per la parabola di uno dei più grandi pensatori del suo tempo e dei più influenti matematici dell’epoca moderna. Oggi Leibniz non sarebbe costretto a estenuanti ricerche storiche su un casato nobiliare per vivere. Probabilmente, sarebbe professore in una prestigiosa università e a decidere il suo destino non sarebbero stati in ogni caso i capricci di un monarca che nemmeno parlava la lingua di quei sudditi che poi era stato chiamato, senza alcun merito, a governare. Senza l’attività politica e intellettuale di Leibniz, la casata di Hannover non sarebbe forse mai ascesa al trono britannico che invece occupò fino agli inizi del Novecento quando, dopo la morte della regina Vittoria e poi del figlio Edoardo VII, il trono passò al Windsor Giorgio V, bisnonno dell’attuale re Carlo III.

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