Ponte sullo Stretto, una sfida attuale ma lunga millenni

Del collegamento dello Stretto di Messina si discute da secoli (anzi millenni, dopo l’unico attraversamento provvisorio di ponte galleggiante realizzato nel 250 a.C. da Lucio Cecilio Metello con botti e barche per portare in Italia gli elefanti catturati ad Asdrubale nella battaglia di Palermo delle Guerre Puniche). L’argomento è stato ripreso in esame lo scorso anno, quando l’allora ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile (Mims) Enrico Giovannini istituì due gruppi di lavoro per valutare soluzioni alternative per il sistema di attraversamento stabile e studiare delle innovazioni nel sistema di mobilità per l’attraversamento dinamico dello Stretto. Le conclusioni raggiunte dai due gruppi di lavoro vanno nella direzione della realizzazione del Ponte sullo Stretto con un’indicazione a scegliere tra due sistemi: ponte a campata unica o a più campate. Il pool ministeriale va anche oltre, dando una preferenza per la soluzione a più campate, ossia quella che nel “Concorso internazionale di idee per un progetto di attraversamento stabile stradale e ferroviario dello Stretto di Messina” del 1969 venne prospettata anche dal Gruppo Samonà che più di 50 anni fa si aggiudicò uno dei secondi premi ex aequo. Mario Alberto Chiorino faceva parte di quel pool. Oggi è professore emerito di Scienza delle costruzioni al Politecnico di Torino ed è membro della Accademia delle Scienze di Torino e della Accademia Russa di Ingegneria. È uno dei 5 italiani che hanno ricevuto la nomina a Membri Onorari dell’ACI, Associazione Americana del Cemento Armato, assieme fra gli altri a Franco Levi e Pier Luigi Nervi.

Cosa prevedeva quel progetto?

Il progetto del Gruppo Samonà prevedeva un ponte a due campate di 1.800 metri di luce e pila centrale in mare e due semicampate laterali con altre due pile in acqua in prossimità delle rive. La scelta del tracciato era stata effettuata con molta attenzione tenendo presente la batimetria dello Stretto e collocando la pila centrale in corrispondenza della sella del fondale al centro dello Stretto. Questa opzione comporta una collocazione non in corrispondenza della minima estensione dello Stretto (quindi un ponte più lungo rispetto alla scelta del ponte a campata unica di 3.300 metri collocato in corrispondenza del punto di minima distanza fra Sicilia e Calabria pari circa 3 km), ma offre i vantaggi di un tracciato posto leggermente più a sud, più prossimo ai centri abitati di Messina e Reggio Calabria (e quindi in grado di favorire anche la mobilità interurbana della “Città dello Stretto”) e collocato a maggiore distanza dalle aree naturalistiche pregiate come il lago di Ganzirri. Il nostro progetto aveva inoltre una caratteristica organizzazione spaziale dei cavi di sospensione ottenuta attraverso una concezione “scultorea” delle pile di sostegno del ponte “a corna di bue”, con le sommità delle pile fortemente distanziate in senso trasversale al ponte. Un’organizzazione spaziale che, unita all’inserimento di una catenaria rovescia inferiore ancorata alle basi delle pile, è in grado di offrire un’elevata resistenza alla azione laterale del vento.

Perché il Ponte sullo stretto ha avuto una storia così travagliata?

Oltre alle complesse vicende a livello politico sul tema del Ponte ciò è avvenuto anche perché a partire dagli anni Ottanta la scelta è stata quella del ponte a campata unica, che rappresentava e rappresenterebbe tuttora, nonostante gli ampi studi e ricerche svolti nei decenni scorsi da parte dei gruppi di progetto e degli esperti coinvolti, una sfida molto forte rispetto alle conoscenze e tecnologie disponibili, che hanno condotto ad oggi fino a luci massime dell’ordine dei 2.000 metri: dal ponte Akashi in Giappone del 1998 di 1991 metri di luce, al ponte Canakkale recentemente inaugurato sui Dardanelli di 2.023 metri di luce. Il grande nemico dei ponti sospesi di grande luce è il vento che crea problemi seri di oscillazione e di possibile instabilità.

Nel Pnrr è previsto un ingente finanziamento per migliorare l’attraversamento dinamico dello Stretto. Non è uno spreco, sapendo che il Ponte verrà realizzato?

Il Ministero nel corso degli ultimi due anni, oltre al gruppo di lavoro sull’attraversamento stabile dello stretto, ne ha istituito anche uno per il miglioramento dell’attuale sistema di attraversamento dinamico, con le navi traghetto. I gruppi di lavoro del Ministero hanno considerato che il miglioramento, che verrà effettuato attraverso il Pnrr del collegamento dinamico, si rende comunque necessario sin da subito per risolvere gli attuali gravi problemi di tempi e di attese per l’attraversamento dello Stretto, e in considerazione dei tempi necessari per sviluppare tutti gli stadi del progetto per l’attraversamento stabile con il ponte, dal progetto di fattibilità ai progetti definitivo ed esecutivo, e in considerazione poi anche in particolare dei tempi necessari per la costruzione del ponte. I due gruppi hanno lavorato in sinergia e ne è emersa comunque la scelta prioritaria di un attraversamento stabile con ponte sospeso a più campate, anche in presenza del previsto potenziamento e riqualificazione dei collegamenti marittimi, il cosiddetto collegamento dinamico. È stato peraltro stabilito che la valutazione finale dell’utilità dell’attraversamento stabile dovrà comunque essere definita a valle di un progetto di fattibilità che ne consenta un confronto rispetto alla soluzione di riferimento rappresentata dell’attraversamento dinamico con tutte le relative migliorie previste dal Pnrr, progetto che dovrà essere sottoposto a dibattito pubblico come previsto dalle legislazione vigente. In generale, che cosa hanno rappresentato i ponti per l’Italia? I ponti sono rappresentativi della storia e della cultura artistica e tecnica del Paese. Lo sviluppo dei trasporti ferroviari a metà Ottocento e successivamente dei trasporti motorizzati su strada ha condotto, in un territorio orograficamente complesso come quello dell’Italia, alla realizzazione di un numero sempre crescente di ponti. Una crescita che è divenuta vorticosa nel secondo dopoguerra con la realizzazione, in tempi molto contenuti negli scenari del “miracolo economico”, della rete autostradale. Questo frenetico sviluppo ha influito fortemente, in particolare nel secondo Novecento, sugli sviluppi e i progressi della scienza, della tecnica e dell’arte stessa del costruire. Alcune nuove sfide si impongono attualmente con l’ammodernamento della rete ferroviaria per l’Alta Capacità ed Alta Velocità nel quadro della rete europea TEN-T, il corridoio scandinavo-mediterraneo, che collega le capitali del Nord-Europa (Oslo, Stoccolma, Copenaghen, Berlino) con Roma, Napoli e Palermo e che ha indubbiamente il suo “collo di bottiglia” nell’attraversamento dello Stretto di Messina.

Nel secondo dopoguerra si impone una scuola italiana d’architettura e ingegneria. Quali erano le sue caratteristiche?

Grazie proprio anche agli stimoli offerti nel secondo dopoguerra dallo sviluppo delle reti dei trasporti, la scuola italiana d’architettura e ingegneria si è imposta all’attenzione del mondo. Per limitarmi alla scuola di Torino, alla quale mi onoro di appartenere, il mio indiretto maestro Gustavo Colonnetti al rientro dopo la caduta del fascismo dall’esilio in Svizzera rifonda nel 1944 il Cnr e istituisce al suo interno il Centro Studi sulle Coazioni Elastiche presso il Politecnico di Torino, al quale è affidato a partire dal 1947 e fino al 1961 il controllo di tutte le opere realizzate con la nuova tecnica del cemento armato precompresso (c.a.p.), utilizzata tra l’altro in numerosi ponti. Direttore del Centro viene nominato il mio maestro Franco Levi, che del c.a.p. fu uno dei padri fondatori. Ma quella scuola torinese assume anche uno straordinario rilievo internazionale negli ambiti degli enti destinati alla sintesi della ricerca e alla formulazione di linee guida per la progettazione di strutture.

Quali sono le maggiori criticità per ciò che riguarda la manutenzione dei ponti?

Le maggiori criticità riguardano proprio i ponti in cemento armato precompresso per i quali la disattenta ed affrettata iniezione con malte di cemento delle guaine entro le quali sono collocati i cavi di precompressione in acciaio ad alta resistenza, al fine di garantire la protezione dei cavi stessi dalla corrosione, conduce alla loro rottura fragile ed improvvisa quando quei cavi iniziano ad essere attaccati dalla corrosione. Le attenzioni e le conoscenze relative ai problemi della durabilità delle opere in cemento armato, e soprattutto di quelle più fragili in cemento armato precompresso, si sono sviluppate soprattutto nei decenni recenti e sono state carenti e spesso in ogni caso in buona misura disattese negli scenari della prima parte del secondo Novecento nei quali dominava l’urgenza di realizzare in tempi brevi i grandi ponti a servizio della rete dei trasporti. Il problema è di indubbia rilevanza in Italia, dove quelle scarse attenzioni alla durabilità furono certamente in quegli anni purtroppo assai significative. Il problema più in generale della valutazione della sicurezza e della manutenzione, e al limite ricostruzione, dei ponti esistenti di tutte le tipologie costruttive e di tutte le epoche è presente non solo a livello italiano, ma ovunque nel mondo. In altri Paesi il problema è all’attenzione dei gestori delle reti dei trasporti e delle autorità di controllo da diversi anni, a seguito anche in quei casi di crolli di ponti avvenuti in varie parti del mondo.

Cosa è stato fatto per affrontare il problema?

In Usa a partire dal 2008 è stato avviato un Bridge Replacement and Rehabilitation Program, che ha condotto a stime di somme annuali molto consistenti per il conseguente programma di riabilitazione o di ricostruzione dell’ordine di alcuni miliardi di dollari all’anno. In Italia, gli scenari di attenzione al problema si sono modificati radicalmente dopo il crollo del ponte Morandi a Genova. Nel 2020 il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha redatto delle accuratissime linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e il monitoraggio dei ponti esistenti. In seno al Mims sono state inoltre istituite due agenzie: l’Archivio informatico nazionale delle opere pubbliche (Ainop) per l’effettuazione di un censimento globale di tutte queste opere e l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali (Ansfisa) che si occuperà dei passi successivi relativi alla sicurezza delle opere e al suo mantenimento nel tempo.

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