Follow the money

 

Il tema dei combustibili fossili, della loro riduzione o eliminazione graduale, è il terreno più spinoso in ambito climatico sul quale i grandi della Terra sono chiamati a esprimersi. Per l’Unione europea, la strada da seguire è quella che porta al loro abbandono. Una strada che però è in salita, come ha sottolineato in maniera provocatoria il segretario dell’Unfccc, l’agenzia dell’Onu contro il cambiamento climatico, secondo il quale l’azione climatica anziché su un “treno ad alta velocità cammina su un vecchio vagone su binari traballanti”, quelli della crisi economica.
La finanza gioca un ruolo fondamentale nel trasformare le nostre ambizioni in azioni concrete. L’accordo di Parigi del 2015 parla della necessità di “rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca ad uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima”.
Un dossier dell’Ong Oxfam denuncia, invece, come le banche europee finanziano combustibili fossili e agricoltura industriale nel solo global south per oltre 40 miliardi di euro l’anno, contro i 9,7 investiti in finanza per il clima. Un rapporto di 1 a 4 dunque.
I Paesi poveri sono i più soggetti a minacce globali, per la salute e per l’ambiente. Secondo uno studio dell’università di Notre Dame, negli Stati Uniti, le zone più colpite dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento tossico si trovano in Africa e nell’Asia sud-orientale e sono anche quelle che in futuro avranno un ruolo sempre più centrale nel determinare l’impatto umano sul clima e sull’inquinamento.
Una delle questioni chiave per i Paesi meno sviluppati, che più di tutti dovranno spendere in adattamento (2,4% del Pil per i Paesi dell’Africa Subsahariana), è quella di come il debito pubblico sia un ostacolo sulla via della transizione energetica. A guidare la richiesta di riduzione e cancellazione del debito per il clima sono il gruppo dei Vulnerable 20 (Ghana, Barbados, Kenya, Colombia e Senegal) e il gruppo dell’Ailac, gli 8 Paesi che formano l’Associazione indipendente dell’America Latina e dei Caraibi più il Brasile. Nel corso della Cop 28 di Dubai è stata presentata la richiesta di un Piano Marshall per la riduzione del debito. Gli aiuti per contrastare la crisi climatica nei Paesi più poveri sono troppo spesso prestiti che contribuiscono quindi a peggiorare il loro indebitamento. Tra il 2019 e il 2020 gli aiuti dei Paesi ricchi ai più poveri sono stati in media di 13,64 dollari all’anno per abitante. Cifra che paradossalmente crolla a 6,68 dollari a persona se si guarda ai soli finanziamenti destinati ai Paesi dove i conflitti sono in corso. Aiuti comunque che sono del tutto insufficienti, anche se considerati complessivamente. Oltre la metà dei finanziamenti verso questi Paesi sono stati erogati sotto forma di prestiti o altre forme di finanziamento a debito. E nel 2022, ben 29 Paesi in queste condizioni sono stati classificati a rischio medio-alto di sofferenza debitoria. Solo le sovvenzioni possano davvero fornire un aiuto a questi Paesi.
“Follow the money”, diceva l’informatore a Robert Redford nel bellissimo film del 1976 Tutti gli uomini del Presidente. Se segui il denaro capisci veramente, ripeteva anni dopo Giovanni Falcone. E se fosse vero pure per la questione climatica?

Vincenzo Mulè
Direttore responsabile

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