Che i propri figli siano per ciascuno esattamente i più belli del mondo, che loro e solo loro siano così eccezionalmente buffi e carini quando cominciano a traballare nei loro primi passi, a pasticciare con la sabbia, a soffiare le candeline, è assolutamente certo. Che quindi sia un’irreparabile perdita per l’umanità se ogni istante del bebé non venga immortalato ed esibito in tempo reale sui social a uso di conoscenti e sconosciuti è un’ulteriore diamantina certezza. Pertanto, si caricano in rete foto intime, goffe, tenere, buffe. Imbarazzanti magari, se a guardarle non è solo la nonna ma un vasto pubblico che potrà continuare a vederle quando il cicciottello moccioso in costume da bagno sarà candidato per il consiglio comunale o sarà direttrice di una banca.
In concomitanza con l’ingresso a scuola, invece, sull’immagine del pargoletto cala, come un improvviso e nero burqa, il Gdpr, il Regolamento europeo generale sulla protezione dei dati, detto comunemente privacy. La scuola deve garantire l’assoluta invisibilità dell’alunno. Carte e liberatorie non sollevano l’insegnante dal dilemma se quella istantanea sfuocata in cui il pargoletto si intravede in fondo al palco durante la recitina di fine anno, una volta pubblicata sul giornaletto della scuola non lo renda riconoscibile e quindi la sua maestra e il dirigente diventino passibili di denuncia penale. Il genitore che della progenie ha mostrato online tutto salvo la radiografia del torace può eccepire sul fatto che il figlio utilizzi mail istituzionali della scuola, se l’azienda che le supporta ha sede in California.
Se la protezione della propria immagine come dei dati più intimi è un diritto, evidentemente questo è tutt’altro che inalienabile. Alienabilissimo: ad opera dei genitori nell’infanzia; ad opera propria a partire dai dieci anni, per i più. Imbroccata la preadolescenza, ottenuto dopo regolare assedio alla potestà genitoriale il primo smartphone e falsificata l’età per l’iscrizione ai social, la sagra del narcisismo autorappresentativo può avere
inizio.
Se le piattaforme social formalmente sono accessibili a partire dai 13-16 anni, a seconda delle legislazioni dei diversi Paesi, nella realtà la stragrande maggioranza degli undicenni è presente su almeno un social. La Francia ha cercato di introdurre per legge un sistema più rigoroso di controllo delle età reali degli iscritti ai social. In altri Paesi, compreso il nostro, nessun serio tentativo di rendere veramente operativo un controllo sulla frequentazione social dei bambini è stato fatto. La propria messa in scena, la cura o l’ossessione per la propria immagine, la vulnerabilità a cui questa esposizione precoce e insistita conduce sono esperienze assillanti e a volte feroci.
In un’epoca in cui si discute se assegnare un voto in matematica non sia troppo stressante, i ragazzini sono esposti online a un impietoso esame quotidiano. Chi non regge la prova, chi non passa l’abilitazione, può essere messo alla gogna.