Quando i russi eravamo noi

La storia non si ripete mai tale e quale e non la si può usare per predire il futuro. Ancora: bisogna procedere con molta cautela nel tracciare analogie tra periodi storici lontani nel tempo. Tutto molto saggio, tutto vero ma ugualmente si rimane colpiti da alcune situazioni che sembrano ripetersi. Assistiamo alla guerra tra Ucraina e Russia e torna in mente quello che è successo cent’anni fa come conseguenza del primo conflitto mondiale. Anche allora si pensò (e si decise) di punire con l’isolamento intellettuali e artisti delle nazioni sconfitte e anche allora alcuni Paesi furono colpiti attraverso sanzioni economiche. Anche allora ostracismo culturale e sanzioni furono oggetto di viva- ci discussioni. La prima guerra mondiale termina alla fine del 1918 e già l’anno successivo la comunità internazionale riprende i suoi appuntamenti e i suoi riti mettendo però al bando da questi incontri le nazioni sconfitte, la Germania in primis. Nelle nazioni uscite vincitrici dal conflitto sono estremamente forti la rabbia e il desiderio di vendetta nei confronti di quegli Stati che avevano avviato la guerra. Altro che voltare pagina, altro che dimenticare in fretta gli orrori vissuti! Un uomo di Chiesa, il cardinale belga Mercier, arriva a dichiarare che perdonare certi crimini significa farsene complici. Il clima coinvolge naturalmente anche i matematici. Quando nel 1920 riavviano l’iniziativa dei congressi internazionali, che si tenevano ogni quattro anni, lo organizzano a Strasburgo che è la città dell’Alsazia ripresa dai francesi con il trattato di Versailles dopo che nel 1871 era passata alla Germania. È come se i russi adesso decidessero di svolgere il congresso internazionale dei matematici a Mariupol o a Odessa (casomai riescano a conquistarla). Lo schiaffo è pesante, perché ai matematici tedeschi e delle nazioni che erano state alleate della Germania nella guerra viene impedito di partecipare al congresso. E la Germania era la nazione leader in campo matematico e scientifico (l’elenco dei premi Nobel vinti dai ricercatori tedeschi fino al 1915 rimane impressionante)! È la Francia che impone la linea dura. Il matematico francese Émile Picard spiega che “benché scienziati, noi restiamo uomini” e per il momento trova tutti d’accordo. Poi cominciano i primi distinguo: non si può umiliare con sanzioni economiche e politiche così dure una nazione come quella tedesca; nel caso delle relazioni scientifiche, non si possono immiserire la cultura e la circolazione delle idee con questioni politiche e non si possono trattare allo stesso modo i docenti che avevano appoggiato apertamente il militarismo prussiano e quegli studiosi che invece ne avevano preso le distanze. Il congresso internazionale dei matematici del 1924, a Toronto in Canada, conferma comunque l’ostracismo nei confronti dei matematici tedeschi. Verranno riammessi solo nel 1928, quando prevalgono le “colombe” rappresentate dai matematici statunitensi e inglesi, e potranno così essere presenti al congresso di Bologna. A presiederlo, come segnale e speranza di una rinnovata armonia, viene chiamato il matematico tedesco David Hilbert. Il suo nome è talmente “forte” che riesce a bloccare ogni opposizione e perplessità. Lasciamo gli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra mondiale e seguiamo il filo dei congressi internazionali dei matematici per il tema delle sanzioni. Alla fine del ‘35 l’Italia inizia la guerra in Etiopia in contrasto con lo statuto della Società delle Nazioni e scattano contro il regime fascista le sanzioni economiche adottate per convincerlo a cambiare politica. Siamo noi, questa volta, a essere sanzionati da chi vuole isolarci commercialmente e metterci in difficoltà economica. Molto si è discusso a proposito della decisione presa dalla Società delle Nazioni e del modo blando e pieno di sotterfugi con cui le sanzioni furono attuate ma noi riprendiamo la storia dei matematici e dei loro congressi. Quello del 1936 è previsto a Oslo. La Norvegia è però un Paese sanzionista, come si diceva allora, e Mussolini non gradisce che si intrattengano relazioni culturali con le nazioni che fanno la faccia severa nei suoi confronti. Dal canto loro, i matematici italiani si adeguano prontamente alle direttive del regime perché “le presenti condizioni politiche impongono stretta aderenza alle direttive del Governo”. Così nessun italiano va in Norvegia. In particolare, non partecipa al congresso di Oslo Francesco Severi che aveva avuto l’onore di essere invitato a tenere una conferenza generale e doveva anche presiedere la commissione che avrebbe assegnato le prime due medaglie Fields. Il ministro dell’Educazione Nazionale gli comunica seccamente che “non ritengo opportuno la sua partecipazione a tale congresso”. In questo modo, ancora una volta, le questioni politiche intersecano la matematica o perlomeno l’organizzazione dei suoi studi. Giusto o sbagliato che accada? Le domande sorgono spontanee: è vero che la cultura appartiene a un mondo diverso e che non bisogna frenare la diffusione delle idee coinvolgendola nelle discussioni politiche? Giusto o sbagliato boicottare Dostoevskij e interrompere ogni collaborazione con gli scienziati russi? Discutere dei rapporti tra scienza e politica non è una novità di questi mesi…

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