Niente è più surreale del vuoto

“Niente è più reale del nulla” affermava il drammaturgo irlandese Samuel Beckett, maestro del teatro dell’assurdo e del surreale. Ma assurdo e surreale sono due aggettivi che hanno trovato forma anche in matematica: il primo è associato a una delle più note tecniche dimostrative, il secondo – su cui ci concentreremo – a un particolare universo numerico che, si potrebbe sostenere, nasce proprio dal nulla. I numeri surreali, tuttavia, esistono davvero, sono una cosa seria e non un paradosso. Furono ideati nei primi anni ’70 dal matematico inglese John Horton Conway (1937-2020). Il loro sistema estende quello dei numeri reali accogliendo al suo interno pure elementi infiniti oppure infinitesimi. Guardiamo qui i numeri reali come un campo ordinato, se vogliamo usare i termini algebrici ufficiali, e dunque nella sostanza li guardiamo rispetto alle loro operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione e alla loro relazione di ordine. Definiamo poi un elemento infinito se è maggiore in valore assoluto di ogni reale, mentre lo definiamo infinitesimo se è minore in valore assoluto di ogni reale non nullo. Il contesto richiama allora quello dell’analisi non standard, cioè dell’approccio all’analisi che fu proposto a metà del secolo scorso da Abraham Robinson, famoso matematico di origine tedesca, poi naturalizzato statunitense, conosciuto soprattutto come logico, non ignaro però della matematica applicata tant’è che scrisse anche contributi rilevanti all’aerodinamica. L’ambiente dell’analisi non standard, infatti, non è il campo reale, ma una sua estensione, che si chiama iperreale e accoglie anch’essa al suo interno, oltre ai numeri reali, pure gli infinitesimi, intesi non come pura immaginazione, “fantasmi di entità evanescenti”, ma come elementi effettivi, con pieno diritto di cittadinanza. Le motivazioni di Robinson furono di fondare un’analisi infinitesimale più corrispondente alle intuizioni di Leibniz e Newton, che per primi la introdussero compiutamente, e opposta alla visione tradizionale degli epsilon e dei delta, che di solito impariamo a scuola e all’università e che evita accuratamente gli infinitesimi. Il mondo surreale di Conway è però diverso. Amplia ancora il campo ordinato dei reali, ma nel suo caso gli infiniti che si aggiungono corrispondono ai numeri ordinali di Cantor, che mal si legano all’analisi. In genere, la costruzione dei numeri ordinali che si studia all’università è quella elaborata dopo Cantor da John von Neumann. Potremmo pensare questi numeri ordinali infiniti come i fratelli maggiori dei numeri naturali 0, 1,2,3,…. Il minimo tra di loro si chiama ω e corrisponde alla sequenza ordinata di tutti i naturali, dopo di che si incontrano ω+1, ω+2,…, ω+ω ecc. La collezione dei numeri che si ricava in questo modo è sconfinata, così vasta da non potersi neppure definire un “insieme”. Cantor, che pure era stato talmente immaginifico da inventare questa collezione sterminata di nuovi numeri infiniti, non prestò attenzione alcuna agli infinitesimi, che anzi osteggiò pregiudizialmente per vari motivi filosofici. D’altra parte, una volta che gli infiniti sono ammessi all’interno di un campo, gli infinitesimi li seguono facilmente e fatalmente, come loro inversi: come si usa dire anche in certe spiegazioni intuitive dell’analisi tradizionale, l’inverso di un numero molto grande è un numero molto piccolo. L’universo surreale di Conway ospita dunque reali, ordinali e inversi di ordinali: 0, 1, π così come ω e 1/ω. A ispirare il suo creatore furono tuttavia, come si diceva, non finalità legate all’analisi infinitesimale, ma un gioco da tavolo, il Go, una sorta di dama molto diffusa in Oriente, e alcune conseguenti questioni combinatorie. A suggerire poi l’aggettivo surreale per denominare questo nuovo mondo fu il matematico e informatico Donald Knuth, che nel libro del 1974 Surreal numbers: how two ex-students turned on to pure mathematics and found total happiness ne fornisce un’esposizione gradevole e accessibile (ne esiste anche una traduzione italiana edita da FrancoAngeli nel 2016, con il titolo Numeri surreali. Come due ex-studenti scoprirono la matematica pura e trovarono la felicità). Conway invece illustrò la sua invenzione in un suo classico libro del 1976, On numbers and games, che descrive sia la struttura surreale che il legame con i giochi. La costruzione dettagliata dei numeri surreali è complessa. Qui la accenniamo seguendo l’approccio sviluppato da Harry Gonshor nel suo libro del 1986, An introduction to the theory of surreal numbers. Partiamo allora dal nulla, di cui si parlava all’inizio: nello specifico, dall’ordinale 0, o se preferiamo dall’insieme vuoto. Immaginiamo che 0 generi due figli, che poi, a cose fatte, costituiranno rispettivamente, –1 e +1, imponendo naturalmente –1<0<+1. A questo punto l’operazione si ripete, producendo due figli per –1 e +1, e quindi quattro nipoti per 0, nell’ordine –2, –1⁄2, 1⁄2, 2, e via dicendo. L’effetto che si ottiene dopo qualche passo ulteriore è raffigurato in figura 1, una sorta di albero genealogico, in cui i numeri surreali si susseguono nell’ordine che va da sinistra a destra. In questa rappresentazione fantasiosa ogni numero surreale riceve perfino una data di nascita, che corrisponde al livello in cui si trova inserito; così 0 è l’unico presente sin dall’inizio, –1 e +1 nascono il primo giorno, –2, –1⁄2, 1⁄2, 2 il secondo ecc.. Possiamo concludere ribadendo che i numeri surreali formano un ampliamento vastissimo del campo reale, del quale condividono varie proprietà fondamentali; eppure si generano dal nulla, cioè dall’insieme vuoto! Parafrasando la citazione beckettiana con la quale abbiamo iniziato: niente è più surreale del vuoto.

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