Si possono analizzare i fenomeni economici con sguardo scientifico e lontano dai pregiudizi ideologici? Secondo i fisici del Centro di ricerche “Enrico Fermi” di Roma sì, ma per farlo occorre mettere in discussione gli indicatori classici della scienza economica. Tra questi, il Prodotto interno lordo (Pil), spesso accusato di inefficacia nel fotografare i fatti economici. Il fisico Luciano Pietronero è il presidente del Centro di ricerche “Enrico Fermi”, che dalla sua storica sede di Via Panisperna a Roma, ha messo a punto un indice che misura con la fisica statistica il grado di competitività dei sistemi economici e ne prevede il livello di crescita. Il modello si chiama Economic Fitness and Complexity (Efc) e “rappresenta un modo per rispondere alle domande dell’economia in una prospettiva più scientifica, attraverso risultati misurabili”, afferma il professor Luciano Pietronero. La metodologia dell’Economic Fitness and Complexity “è riconducibile alla fisica dei sistemi complessi, con risultati rigorosamente misurabili e testabili”. L’Efc descrive le economie come processi evolutivi di ecosistemi di tecnologie, infrastrutture industriali e finanziarie che sono globalmente interconnesse. L’approccio è multisciplinare e affronta i fenomeni emergenti in economia da diversi punti di vista fornendo un nuovo paradigma per una scienza economica basata sui dati. Ma quali sono i dati che questo nuovo modello prende in considerazione? “La fitness misura il valore del know how di un’economia dal numero di prodotti diversi che è capace di produrre e quindi di esportare. Con la nostra analisi misuriamo quanto un Paese è capace di diversificare la sua produzione e di specializzarsi su beni sofisticati e complessi che garantiranno un’alta previsione di crescita”. Un conto, insomma, è fabbricare prodotti di alta tecnologia come componenti elettronici, macchinari specializzati, eccellenze ingegneristiche; altro è basare la propria produzione su beni comuni e di scarsa specializzazione. I Paesi con la fitness più alta sono quelli leader nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione (Stati Uniti, Giappone, Germania); in coda si trovano quelli caratterizzati da industria pesante o scarsamente innovativa (Russia, Arabia Saudita). Partendo dall’analisi di centinaia di dati differenti – esportazioni in primis, ma anche aspettativa di vita, tipologia di produzioni, inquinamento – cerca di ricostruire il potenziale industriale di Stati e regioni. Il Pil fotografa, insomma, l’esistente e il livello di produzione di un sistema economico, mentre il modello della Fitness intende individuare le prospettive effettive di crescita di un sistema economico. Per la Fitness non esiste una teoria ideale per tutte le situazioni; come nella medicina, soltanto dopo aver analizzato la patologia si procede con la cura. Diversificazione e complessità di un sistema economico divengono le caratteristiche analizzate per prevedere la sua salute a lungo termine. “Un po’ come avviene con i sistemi dell’ecologia, tanto che la nostra formula è usata anche per studiare la stabilità di un contesto naturale. Facendo un parallelismo, potremmo dire che il Paese è come una foresta con tanti animali e tante piante, mentre un’azienda è come un animale o una pianta singola”, sottolinea Pietronero. Il modello dell’Economic Fitness and Complexity rientra in una delle metodologie usate dalla Commissione europea per la valutazione dell’efficacia e dell’impatto dei piani di recupero e sviluppo dei Paesi europei nell’era post Covid-19. Guardando all’Italia, il modello studiato dal Centro Fermi aiuta a comprendere anche gli ambiti su cui il Pnrr deve insistere per favorire una ripresa sostenibile e resiliente. Ad esempio, il modello Italia, basato sull’economia della conoscenza, oltre che su cultura e turismo, può usufruire direttamente dei risultati di questa nuova metodologia. Comprendere il livello di fitness di un territorio, di un distretto industriale, di un settore o di una singola impresa può significare infatti indirizzare le politiche pubbliche di investimento su specifici target di sviluppo. Con questo metodo di analisi economica si possono anche prevedere la crescita e la robustezza economica dei territori, comprendere quali campi tecnologici abbiano il più alto potenziale di ricaduta sul sistema industriale nel medio termine e quindi poter scegliere le migliori opportunità, oltre a prevedere quali profili professionali e competenze saranno richieste nel prossimo futuro”. Secondo il modello dell’Economic Fitness and Complexity, l’Italia è caratterizzata da un’alta disomogeneità interna, con zone come la Lombardia ai livelli della Germania e altre regioni più simili alla Grecia. “La buona notizia è che l’Italia gode di un alto livello di diversificazione e che intere zone, soprattutto quelle meridionali, hanno un potenziale in termini di fitness inespresso. Aree con basso Pil e alta fitness hanno margini enormi di crescita e le prospettive per il nostro Paese possono essere positive”. A patto ovviamente di indirizzare gli investimenti nelle giuste aree e settori.