Oppenheimer – Una recensione scientifica del film

Dopo lo sbarco in Italia, Oppenheimer non ha deluso le aspettative sia del botteghino, sia della critica. Nel solo giorno d’esordio, il 23 agosto, ha incassato più di due milioni di euro e, a parte qualche sporadico e isolato giudizio non proprio positivo, le opinioni del pubblico all’uscita delle sale sembrano essere pressoché unanimi nel descrivere la pellicola come memorabile e uno dei lavori più riusciti di Christopher Nolan. Il che, per chi ha già creato acclamati film a sfondo scientifico come Interstellar, Inception e Tenet, non è certo di poco conto.

  • Le discrepanze storiche e scientifiche

Personalmente non sono un cinefilo e neppure un cultore dell’arte cinematografica, quindi, a parte qualche divagazione del tutto personale ed estemporanea, mi concentrerò principalmente a considerare il lavoro di Nolan nel campo più vicino alla mia professione, cioè quello scientifico, e in particolare quello delle alte energie e del nucleare. E in questo settore, il lungometraggio presenta alcune piccole imperfezioni che ad una più attenta revisione avrebbero potuto essere evitate. Il ritmo “incredibilmente veloce”, come ha confermato l’attore protagonista Cillian Murphy, con cui è stato girato il film (solo 57 giorni) ha forse impedito un’ispezione più accurata di alcune ambientazioni.

Tra le imprecisioni più evidenti c’è l’episodio, divenuto famoso, della mela avvelenata.

Le scene descritte nel film non combaciano con le lettere e i diari scritti dallo stesso Oppenheimer e dai suoi amici del tempo. Lo scienziato avrebbe avvelenato col cianuro di potassio una mela destinata al suo tutore di Cambridge, Patrick M.S. Blackett. Il fatto, la cui esecuzione e la veridicità non è mai stata del tutto chiarita, sarebbe avvenuto durante il periodo natalizio del 1926, quando Oppenheimer era al Cavendish Laboratory sotto il patronato di Robert J.J. Thomson, lo scopritore dell’elettrone. Thomson, seppur vincitore del premio Nobel, era ormai anziano (aveva settanta anni) e non presentava alcuno stimolo per il giovane chimico statunitense appena giunto in Inghilterra con l’intenzione di approfondire i suoi studi (Oppenheimer si era laureato in chimica a Harvard). Secondo la ricostruzione fatta da John Edsall, amico di Robert, questi avrebbe lasciato la mela in un cassetto della scrivania di Blackett per poi partire per una vacanza in Corsica con i suoi amici (oltre a Edsall c’erano Jeffries Wyman e Frederick Bernheim). Oppenheimer soffriva di depressione e di un grave esaurimento nervoso per via dell’incertezza del futuro e per l’insoddisfazione della sua permanenza a Cambridge e una sera interruppe improvvisamente la sua vacanza per far ritorno in Inghilterra per “porre rimedio ad un’azione gravissima che ho compiuto”, secondo quando avrebbe detto a Edsall.

Tornato a Cambridge, Robert Oppenheimer scoprì che Blackett aveva già scoperto il tentativo di avvelenamento ed aveva denunciato lo studente alla commissione disciplinare. Solo l’intervento del padre, Julius, riuscì (probabilmente con una generosa elargizione finanziaria all’istituto) ad evitare l’espulsione del figlio dall’università.

La scena di Oppenheimer che, di fronte al tentativo di Niels Bohr di addentare il frutto, gliel’avrebbe tolto letteralmente di bocca per gettarlo nel cestino, sicuramente non è mai avvenuta.

La verità era che Oppenheimer incontrò Niels Bohr per la prima volta nell’ufficio di Ernest Rutherford. Sia Bohr che Oppenheimer ricordavano vividamente quel momento: il fisico danese chiese allo studente statunitense come andasse e questo rispose di avere qualche difficoltà. Alla domanda se queste difficoltà fossero matematiche o fisiche, Oppenheimer rispose di non saperlo, ricevendo come risposta “Questo è male”. Una volta congedato il suo studente, Rutherford confidò al suo collega di nutrire grandi speranze per lui.

Altro episodio impreciso riguarda l’articolo (o meglio gli articoli) sui buchi neri scritto da Oppenheimer assieme ai suoi allievi, George Volkoff e Harland Snyder, tra il 1938 e il 1939. Nolan si riferisce al terzo studio, On Continued Gravitational Contraction (“Sulla contrazione gravitazionale continua”), quando mostra un Robert Oppenheimer festoso e acclamato dai suoi studenti. L’articolo venne pubblicato sul Physical Review il 1° settembre 1939, giorno dell’invasione nazista della Polonia, ma a differenza di quanto mostrato nei fotogrammi di Nolan, passò quasi inosservato e di certo Oppenheimer non festeggiò la sua pubblicazione e neppure venne festeggiato dai suoi studenti. Inoltre, il nome “buco nero” (“buco nero” – “Black Hole” – è citato anche nella versione originale) venne coniato solo nel 1967 da John Archibald Wheeler, sei mesi dopo la morte di Oppenheimer.

Un terzo atto che nella sua realtà non ebbe mai luogo è l’incontro con Einstein nel bosco mentre passeggia con Kurt Gödel. Mentre è vero che tra Einstein e Gödel si instaurò una profonda amicizia (sono rimaste famose le loro passeggiate attorno a Princeton), è anche vero che Oppenheimer non chiese mai allo scienziato di origine tedesca il suo parere sul rischio di una reazione a catena che avrebbe potuto incendiare l’atmosfera e distruggere l’intera umanità dal pianeta. Già nel 1935, dopo un deludente incontro avvenuto a Princeton, Robert scrisse al fratello Frank che “Einstein è completamente andato.”  Invece, Robert chiese il parere ad Arthur H. Compton, direttore del Met Lab (Metallurgical Laboratory) all’Università di Chicago all’interno del Progetto Manhattan.

Forse, però, l’errore più grossolano fatto da Nolan è la scena in cui Oppenheimer riceve il premio Enrico Fermi nel 1963. Qui si vede il fisico che viene complimentato da Ernest Lawrence, inventore del primo acceleratore di particelle, che all’epoca era già morto da cinque anni (Lawrence morì nel 1958).

Anche l’incontro con il presidente USA, Harry Truman, è stato romanzato: sebbene non sia stato uno scambio di convenevoli a pacche sulla spalla come si aspettava il presidente statunitense, non sconfinò mai nell’ingiuria e quella frase “non fatemi più vedere quel piagnucolone”, che Nolan pone alla fine del colloquio mentre Oppenheimer sta chiudendo la porta dell’ufficio presidenziale, venne in realtà pronunciata quando lo scienziato era già lontano e non avrebbe potuto sentirla.

Una nota importante va detta anche riguardo l’aspetto fisico dei personaggi: Cillian Murphy, l’attore che veste il ruolo di Oppenheimer, è alto “solo” 175 centimetri, mentre il “vero” Oppie era alto ben 190 cm. Questo ha rivoluzionato un po’ tutta la scala metrica del cast: si vede infatti un Enrico Fermi, che nella realtà con il suo metro e sessanta di altezza era una trentina di centimetri più basso di Oppie, che nella pellicola sovrasta addirittura di una buona spanna il collega americano.

  • Lo scoppio della bomba nucleare e i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki

Oppenheimer è comunque un film coinvolgente, realistico, anche se quella che è stata più volte descritta come la scena più iconica della pellicola, l’esplosione di Gadget durante il Trinity Test, non ha mantenuto le aspettative, ma proprio per questo è molto più realistica.

La luce viaggiando alla velocità di 300.000 km/s raggiunse pressoché istantaneamente gli scienziati e i militari presenti sul luogo dell’esplosione, mentre il suono, viaggiando a 343 m/s, raggiunse il bunker sud in cui si era trincerato Oppenheimer, a 9 km dalla torre in cui era stato appeso l’ordigno, dopo circa 26 secondi e il campo base in cui era il generale Groves (16 chilometri dalla torre) altri 20 secondi dopo. Questi sono esattamente i tempi mantenuti nel film: un silenzio assoluto in cui la luce fa da padrone illuminando in modo irreale le facce dei presenti a cui segue il roboante boato della bomba con il relativo spostamento d’aria.

Personalmente concordo anche sulla completa mancanza delle scene dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, la cui assenza è stata oggetto di critiche da parte di alcuni ambienti pacifisti e antinucleari (fermo restando che nel film di Nolan traspare costantemente una critica al riarmo nucleare). Non escludo che l’assenza delle scene sia uno stratagemma commerciale e politico per poter vendere la pellicola anche in Asia (in Cina sarà proiettata dal 31 agosto, mentre il Giappone, dove pur non è stata vietata, ancora non è in programmazione). Riproporre in Asia, in un momento delicato come questo, le tragiche conseguenze dei bombardamenti nucleari, nuocerebbe alla politica di Washington in Cina e in India (già turbata per la lettura della Bhagavad Gita tra scene di nudo) mentre i giapponesi non sembrano ancora pronti ad affrontare il lutto nucleare. È comunque vero che scene dei due lanci sul Giappone non avrebbero aggiunto nulla al significato della pellicola che rimane incentrata sulla biografia e sul dilemma di uno scienziato che, nonostante quello che viene spesso scritto, non fu “il padre della bomba atomica”, ma uno dei tanti che contribuirono a costruirla.

E a proposito dell’attributo “padre della bomba atomica” che nel film viene mostrato anche nella copertina di Time, quella copertina esiste, ma il sottotitolo reale è “What we don’t understand, we explain to each other” (“Quello che non capiamo, lo spieghiamo l’uno all’altro”). Nessuna paternità dell’ordigno, dunque, almeno in quell’evento specifico.

  • Perché vedere Oppenheimer

Le tre ore durante le quali si dipanano le scene del film si godono tutte d’un fiato; la biografia e l’etica che il regista ha voluto far trasparire dal suo lavoro sono perfettamente integrate l’una con l’altra e il sapiente uso del colore, frammezzato da un bianco e nero a forte contrasto, sviluppano alla fine l’idea di una scienza vivace, aperta al contraddittorio e a persino al conflitto etico, contrapposta ad una politica bigotta e sclerotica in cui le opinioni contano più dei fatti e dove i sorrisi abbondano dietro azioni spregevoli.

Nolan è dunque riuscito a trasferire sulla pellicola un personaggio pur ambiguo e sfuggente come Robert J. Oppenheimer difendendolo dagli attacchi di chi, oggi come ieri, lo vorrebbe crocifiggere addossandogli colpe che sicuramente ha, ma che condivide con centinaia di altri colleghi e che, a differenza di molti di loro, ha scontato sulla propria pelle.

Forse, Oppenheimer più che un genio era un ottimo organizzatore, uno che riusciva a coordinare il lavoro di scienziati, tecnici, ingegneri respingendo, fin che ha potuto, l’ingerenza dei militari e della politica nel lavoro scientifico. Era uno scienziato, sì, ma anche un padre e un marito che ha dovuto fare i conti con una moglie, Kitty, splendidamente interpretata da Emily Blunt, costantemente depressa, avida di successo, madre insoddisfatta e insofferente che chiedeva al marito l’impossibile: allontanare i suoi colleghi che si frapponevano fra lui e la carriera.

Non sorprende quindi che Robert abbia continuato anche dopo il matrimonio a vedersi con il suo grande amore, quella Jean Tatlock (Florence Pugh), difficile e spigolosa almeno quanto Kitty Oppenheimer, ma intellettualmente più vicina e indispensabile a Oppie, che lo spinse ad avvicinarsi alle lotte sociali e al partito comunista, a cui comunque lui, Robert, non aderì mai.

Ma Nolan è riuscito a riabilitare (finalmente!) anche quello che fu la spalla di Oppenheimer nel Progetto Manhattan, il generale Leslie R. Groves (Matt Damon), spesso visto come la longa manus della Casa Bianca e dell’apparato militare sull’operazione. Nel film, Groves è quello che ne esce meglio, quello che non tradirà mai lo scienziato e che lo difenderà anche di fronte alla commissione d’inchiesta, a differenza di Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), capo della Commissione dell’energia atomica, la cui reputazione è completamente distrutta dal regista (in questo fa il paio con Kitty Oppenheimer).

Infine, una nota su quel Cillian Murphy di cui ho già accennato e che prima di interpretare Oppenheimer non avevo mai stimato (del resto ho già scritto di non capire molto di cinema): la sua interpretazione è stata invece magistrale, anche grazie alla sua somiglianza fisica e posturale con la figura dello scienziato. Memorabili i primi piani, sia di Murphy-Oppenheimer come quelli di Florence Pugh-Jean Tatlock.

Oppenheimer è dunque un film molto riuscito, che riesce a mostrare l’anima più intima di colui che, assieme a Fritz Strassman, Otto Hahn, Lise Meitner, Otto Frisch, Enrico Fermi ed altri ancora, fu tra i padri della fissione nucleare e della bomba atomica…. e non è poco.

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