In questi ultimi mesi è tornata prepotente una paura che sembrava appartenere a un’altra epoca, quella di una guerra di portata mondiale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato in alto l’attenzione su un tema caduto nel dimenticatoio, il valore della pace, come hanno dimostrato i numerosi cortei che in tutto il mondo hanno chiesto a gran voce la fine delle ostilità. Ma, al di là delle scelte politiche, che non sono di certo un elemento secondario, come si fa a prevedere un evento estremo come un’invasione di uno Stato sovrano? Con i big data e con l’Intelligenza artificiale è possibile, secondo un team di ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione (Isti) del Consiglio nazionale delle ricerche, della Normale di Pisa e dell’università di Stoccolma, che in uno studio pubblicato su Epj Data Science hanno spiegato come ottenere queste informazioni analizzando le notizie pubblicate sui principali media. L’Indice della pace globale (Gpi) è un tentativo di classificare i Paesi del mondo in base alla loro “pacificità” ed è calcolato attraverso indagini istituzionali e governative. Il Gpi viene prodotto su base annuale dall’Institute for Economics and Peace in base a indicatori come la presenza di conflitti interni, le spese militari in proporzione al Pil, la facilità di accesso alle armi, il numero di detenuti ogni 100mila abitanti. Secondo questo indicatore, l’Islanda è al primo posto, l’Afghanistan all’ultimo (163esimo) e l’Italia al 32esimo. I nuovi flussi di dati digitali, combinati con le potenzialità dell’Intelligenza artificiale (Ia), possono aiutare a rendere queste misurazioni più frequenti e spiegare quali sono i fattori che caratterizzano un Paese pacifico ma anche come questi fattori cambiano nel tempo. I ricercatori hanno utilizzato i dati del Global Database of Events Location and Tone (Gdelt), una piattaforma supportata da Google che raccoglie notizie relative a 163 Paesi. L’attenzione dei media su determinati argomenti è indicativa del Gpi di un Paese a livello mensile e anticipa le fluttuazioni di pace annuali. Lo studio si focalizza inoltre sull’esplorazione dei fattori più importanti che consentono di svelare, con l’aiuto dell’Ia, il profilo socio-economico, politico e militare del Paese nel tempo (vedi la tabella a fianco). Per esempio, a febbraio 2020, l’indice di pace per il Portogallo è stato determinato principalmente dalle novità meno “aggressive”, mentre quello del Pakistan era collegato a notizie riguardanti conflitto o guerra. Per l’Italia valgono soprattutto notizie su aiuti umanitari, deportazioni e disobbedienza alle leggi. La classifica stilata dalla piattaforma Gdelt si aggiorna quotidianamente e in questo periodo, inutile dirlo, è influenzata dalla drammatica crisi ucraina. “Se consideriamo – spiega Vasiliki Voukelatou, ricercatrice Cnr-Isti e prima firmataria della pubblicazione – che le spese militari indeboliscono sempre di più i Paesi già dilaniati dalla guerra, per i governi e la comunità internazionale è fondamentale prevedere tempestivamente i cambiamenti nello stato di pace e i fattori che lo stanno determinando”. Il database Gdelt e gli strumenti di intelligenza artificiale possono contribuire a più frequenti stime dell’indice di pace globale e dei fattori che lo determinano come le proteste, i conflitti, l’utilizzo di forze armate, gli aiuti umanitari, le sanzioni amministrative e le attività diplomatiche. Lo studio, inoltre, può essere di supporto per decisori politici e stakeholder che mirino ad esempio ad investire sulla stabilità dei Paesi. Secondo Luca Pappalardo, coordinatore dello studio, “questa ricerca è un passo importante verso uno strumento che consente a ricercatori, a politici e alle società non governative come l’Onu di reagire tempestivamente alla situazione conflittuali di un Paese, attuando politiche adeguate a prevenire effetti negativi sulla società e contribuire efficacemente a una pace duratura”.