Napoli ha colto la prima mela

Non è vero che il caso non esiste. Esiste e può trasformarsi in un’occasione. Specie se a farlo concorrono le idee, quelle che a volte sfociano nel sogno. È un po’ così che è nato il Polo tecnologico dell’università Federico II di San Giovanni a Teduccio, quartiere della periferia est di Napoli, di cui l’Apple Academy costituisce il fiore all’occhiello. Nato come iniziativa infrastrutturale finalizzata a ospitare la Scuola Politecnica Regionale, il progetto del campus di San Giovanni è divenuto qualcosa di più e di diverso: un centro dedicato alla sperimentazione di una didattica innovativa tesa alla formazione delle competenze digitali per l’industria 4.0 che si affianca e interagisce con ricerca e insegnamenti della facoltà di ingegneria della Federico II. Una trasformazione avvenuta in corso, un po’ per “merito” delle resistenze dei giuristi napoletani ad abbandonare il centro della città e molto per dare concretezza a una serie di riflessioni che già animavano i corridoi della facoltà di ingegneria dell’università napoletana: “Ci rendevamo conto – racconta Giorgio Ventre, docente della facoltà d’ingegneria e direttore dell’Apple Developer Academy – che il modo di fare didattica era molto rigido e c’era un gruppo di docenti molto interessato a cercare di cambiarlo. Prima da rettore e poi da ministro, Gaetano Manfredi ha cercato di impostare meccanismi di ibridazione sul modello anglosassone, con corsi di studio più verticali e altri meno. Quando abbiamo cominciato ad avviare i primi colloqui con Apple – ricorda Ventre – questo dibattito e questa riflessione erano in atto. E ci siamo resi conto che questa esperienza, se fosse partita, avrebbe potuto darci una mano nell’affiancare alla didattica tradizionale degli interventi che andavano ad allargare le competenze del futuro professionista”. Spazi di co-working e di networking scientifico, nei quali si sviluppano soluzioni tecnologiche e un nuovo modo di fare didattica. È qui, infatti, che la Apple ormai sette anni fa ha scelto di aprire la sua Academy, la prima scuola europea per sviluppatori di app. “Napoli – racconta Valeria Fascione, Assessore alla Ricerca, Innovazione, Startup della Regione Campania – rappresentava la scelta giusta perché era ed è una città giovane, creativa e resiliente. In più aveva un’ottima offerta formativa, quella dell’università Federico II, dove si laurea il 12% degli ingegneri italiani. Quando gli uomini della Apple vennero a San Giovanni a Teduccio capirono subito che era il posto giusto. Così come noi capimmo che il loro arrivo avrebbe cambiato il corso della storia di questo complesso”. Il risultato è stato un centro d’eccellenza che, a distanza di sette anni dalla posa della prima pietra, continua a svilupparsi, sia dal punto di vista fisico sia da quello dell’offerta formativa. Il complesso ospita 9 aule didattiche con oltre 1.000 posti, uno spazio conferenze da 430 posti, aree studio e laboratori informatici. Le lezioni si svolgono in grandi open space, al fianco dei quali ci sono spazi più piccoli con dei totem tecnologici sui quali gli studenti si esercitano su quanto studiato e allo stesso tempo sperimentano nuove idee. Le pareti che dividono le stanze sono arricchite da pannelli tecnologici che evitano il rimbombo del suono. Il cuore del Polo è il secondo piano: è qui che si svolge la maggior parte delle attività, che si dividono in tre fasi: training e trasferimento di conoscenza, sia verso gli studenti sia verso le imprese; trasferimento tecnologico con la creazione di co-innovation hub, ossia spazi di innovazione dove il Polo interloquisce con le aziende e con i soggetti imprenditoriali del territorio e, infine, attività sulle start up, sia in fase di incubazione sia di accelerazione. L’Apple e la sua academy interloquiscono con la facoltà di ingegneria, presente a San Giovanni a Teduccio idealmente ma anche fisicamente. Formazione universitaria e sviluppo tecnologico coabitano nello stesso Polo: “Questa modalità di lavoro – spiega il professor Ventre – risponde a una domanda di fondo: come deve essere la nuova università? Una volta l’ingegnere era un tuttologo abilitato a fare ogni cosa. Un approccio che ora non ha più senso perché le tecnologie cambiano anche le professioni. Quello che vorremmo è che i ragazzi avessero esperienze culturali differenti sia fuori dal corso universitario ma auspicabilmente anche dentro all’università. Il sistema accademico italiano è molto rigido – continua Ventre – con i professori che sono costretti a operare in settori scientifici disciplinari che molti docenti cominciano a vivere come una sorta di camicia di forza”. In risposta a questa esigenza è nato un centro d’attrazione tra i più attivi in Europa, con spazi formativi unici e academy in cui si impara a sviluppare app innovative come nel caso della Apple e a costruire reti sicure attraverso le quali far passare la trasformazione digitale dell’economia (Cisco). Un campus dove le problematiche della digital transformation in ottica industriale vengono affrontate nei corsi della Deloitte, dove il Gruppo Ferrovie dello Stato sviluppa nuovi sistemi intermodali di trasporto e dove Tim ha la propria divisione di Open Innovation. Una fabbrica d’innovazione, varia e diversificata, che comprende anche l’incubatore Campania NewSteel, l’ufficio Ricerca e Sviluppo del gruppo assicurativo Axa, l’acceleratore d’impresa del gruppo bancario Intesa Sanpaolo dedicato alle Pmi del Sud Italia, così come Materias che stimola l’avvio di start up basate sull’uso di nuovi materiali. Sul campus di San Giovanni ha investito anche l’azienda chimica e farmaceutica tedesca Merck KGaA che realizzerà un Centro di ricerca traslazionale sulla fertilità. “Federico II, Regione Campania e Merck KGaA – racconta l’assessore Fascione – costruiranno una rete collaborativa open innovation, caratterizzata da un approccio multidisciplinare, con l’obiettivo di tradurre la scienza biomedica in applicazioni cliniche concrete”. L’ultimo progetto inaugurato è Terra Next, un programma di accelerazione per startup e pmi innovative nel settore della bioeconomia e dove il settore pubblico lavora al fianco del privato: “Per molti anni è stato un tabù. I puristi – ricorda Ventre – vedevano l’abbinamento come un affronto al sapere, così come in molti temevano la morte della facoltà di ingegneria in seguito all’avvio delle attività del Polo. E, invece, la facoltà segna un +10% di iscritti proprio da quando il Polo ha avviato le lezioni”. In cinque anni di attività, a San Giovanni a Teduccio si sono formati più di 2.000 ragazzi, provenienti

da circa 30 Paesi. In questi due anni di pandemia, a dire il vero, gli arrivi si sono ridotti e le nazionalità rappresentate sono circa 20. Curioso che proprio quest’anno si sia registrato un boom d’iscrizioni di studenti provenienti dalla Russia. Alle academy si entra dopo aver superato un test d’ingresso. I criteri selettivi non sono molto stringenti: “Come requisito chiediamo soltanto il diploma di maturità e la selezione che facciamo è paragonabile a quella che si fa per accedere a un corso d’architettura”, racconta il professor Ventre. In media, il 50% degli studenti selezionati ha competenze Stem. Per il resto, ci sono ragazzi che provengono da scienze politiche, archeologia o che sono designer. La differenza di genere si percepisce solo al primo anno, quando il 35% degli iscritti è composto da ragazze. Dal secondo anno in poi, si registra una sostanziale parità. “Molti ragazzi campani – racconta l’assessore Fascione – che erano andati a studiare a Roma, Milano, Torino e Bologna ora stanno tornando per sviluppare la loro app con noi”. Con un contributo di 800 euro mensili, la Regione ha stanziato anche una borsa di studio per tutti i ragazzi che studiano presso il Polo. Dopo il primo anno, lo studente del Polo diventa un developer, ossia un professionista che sa non solo creare un’app ma anche progettarla graficamente e presentarla sul mercato. La proprietà intellettuale delle app rimane degli stessi studenti che l’hanno progettata. La metodologia alla base di questa scelta si chiama challenge base learning, si tratta di una didattica esperenziale: si impara a fare le app facendole. “I ragazzi sono liberi di mettere il frutto del loro lavoro sull’app store oppure di decidere di venderla a qualche multinazionale interessata al prodotto”. Questo modo di formarsi e di approcciarsi al mondo professionale sta mutando anche le scelte degli studenti: “In media – racconta Ventre – alla fine del corso, ogni studente riceve 4 differenti proposte di lavoro”. La tendenza è quella di vendere ai giganti dell’hi-tech le loro app piuttosto che essere assunti perché per loro significherebbe “partecipare solo per una piccola parte al lavoro globale – spiega l’assessore – e i ragazzi che si sono formati alle academy non si accontentano più di questo”. L’area del Polo tecnologico è in continua espansione: sono in fase di completamento nuovi edifici per accogliere ulteriori 4.000 studenti e nuovi laboratori. Un totale di 60.000 metri quadri che comprende la riconversione degli spazi del corpo storico dell’ex opificio in un Palazzo dell’Innovazione e la realizzazione della sede napoletana dell’Istituto Cnr Itc (Istituto Tecnologie per le Costruzioni) che opererà in sinergia con le attività del CeSMA e della Federico II creando ulteriori occasioni di sviluppo e di lavoro.

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