La conquista della regolarità

C’è stato un anno zero nella matematica europea: il 1202, che ha visto la pubblicazione del Liber Abbaci di Leonardo Pisano. Figlio del commerciante Guglielmo dei Bonacci e quindi detto Fibonacci, Leonardo ha circa dodici anni quando segue le orme del padre e si imbarca con lui, scoprendo l’arte della mercanzia e della contabilità. Pisa, all’epoca, era una delle Repubbliche marinare e da lì molti mercanti partivano per i poli commerciali sulle coste del Mediterraneo. A riguardo però esistono poche informazioni biografiche: le uniche che abbiamo derivano dal prologo del Liber Abbaci, dove Fibonacci scrive di essersi recato in Egitto, Algeria, Grecia, Sicilia e Provenza. Alla partenza, gli strumenti di calcolo che aveva a disposizione non differivano molto da quelli degli antichi romani: i numeri romani, le mani e un abaco. Su consiglio del padre, inizia a studiare a Bugia, regione dell’Algeria, dove apprende una matematica innovativa per il mondo europeo e che, a secoli di distanza, farà parlare del suo testo come di qualcosa di rivoluzionario. Per assaporare parte di questa rivoluzione matematica esploreremo la numerazione egizia che, accanto a quella romana e a quella greca, è uno dei principali sistemi numerici usati dalle civiltà fondatrici del mondo europeo. Tutte e tre sono delle numerazioni addizionali: ciò significa che due numeri affiancati tra loro risultano automaticamente sommati. Per capirci, se il simbolo I è uno e il simbolo X dieci, XI sarà automaticamente 11. La numerazione romana, oltre al sistema additivo, aveva anche quello sottrattivo, motivo per cui IX non indica undici ma nove. Questo sistema di numerazione procede senza intoppi fino a quando non dobbiamo fare qualche calcolo. Qui, infatti, iniziano i dolori: provare per credere! I poveri romani erano costretti a usare le dita o uno strumento esterno a mo’ di calcolatrice, l’abaco a gettoni, appunto. La numerazione egizia è per molti aspetti simile a quella romana, ma presenta anche un concetto di zero: il simbolo è un geroglifico dalla forma di lira, ma che più plausibilmente indicava un cuore e una trachea. Si chiama nfrw, pronunciato neferu, che tradotto letteralmente sta a significare sia meraviglioso (non a caso è l’origine del nome Nefertiti) sia svuotamento: potremmo dire oggi che nfrw e nihil erano due modi per chiamare l’insieme vuoto ante-litteram. La numerazione egizia è complessivamente più agevole di quella romana: non esistono simboli per indicare i multipli di 5 (nella numerazione romana V indica 5, L 50 e D 500), ma le uniche cifre presenti sono potenze della decina. Il simbolo del milione è rappresentato da Heh, ciò che per gli egizi era il Dio dell’infinito: stava infatti a rappresentare anche una quantità molto grande e non misurabile. Gli egizi non si limitarono a un utilizzo commerciale della matematica: la loro avanzata conoscenza astronomica e la precisione con cui sono orientate le enormi Piramidi sono frutto di un complesso sistema matematico. Questo comprendeva, inoltre, una regola di calcolo per effettuare moltiplicazioni che non era presente nella numerazione romana e greca. Gli egizi erano a conoscenza della proprietà distributiva e del fatto che ogni numero poteva essere scritto come somma di potenze del due, per cui, per esempio, 15×2= (10+5)×2=10×2+5×2. Da qui svilupparono un algoritmo di moltiplicazione basato sulla moltiplicazione per due, la più facile e quella che non necessitava di molta memoria per poter essere eseguita. Un sistema geniale, che ebbe larga diffusione: se ne può capire il motivo pensando al fatto che, circa nello stesso periodo storico, in Grecia l’unico modo di fare una moltiplicazione era affidarsi a delle tabelle già redatte da matematici, da imparare a memoria o consultare in caso di necessità. Ma torniamo al Liber Abbaci. Il suo contenuto altro non è che il sistema di calcolo che tutti incontriamo per la prima volta in prima elementare. Nel nostro sistema, che è chiamato non a caso posizionale, al posto occupato da una cifra all’interno del numero corrisponde il valore di una particolare potenza del dieci: per questo possiamo utilizzare solamente nove cifre, sapendo sempre se si tratta di unità, decine, centinaia e così via. E non basta. È possibile infatti effettuare operazioni in colonna seguendo regole di calcolo tutto sommato semplici, con qualsiasi numero, indipendentemente da quanto sia grande o piccolo. Banale, diremmo noi. Ma lo diciamo solo perché questo sistema ci viene insegnato fin dai primi anni di scuola, proprio grazie alla rivoluzione introdotta da Fibonacci. Eppure, per qualcuno che è cresciuto utilizzando un sistema addizionale ed è abituato a fare i conti a mente o con le dita, il tutto appare estremamente complesso. Dev’essere stato un bello choc, per i pisani, il primo contatto con la numerazione indo-arabica! La numerazione indo-arabica visse infatti nell’illegalità per circa tre secoli: in Toscana vennero addirittura promulgate leggi che proibivano l’utilizzo di tale sistema, considerato pericoloso dal momento che la maggior parte della popolazione non era in grado di usarlo e rischiava, quindi, di essere truffata. E il principale utilizzo della matematica, nell’Europa del tredicesimo secolo, riguardava proprio la soluzione di problemi di natura commerciale. Anche a causa di questi problemi socio-politici, la diffusione del Liber Abbaci incontrò vari ostacoli; nonostante ciò Fibonacci, diventato a tutti gli effetti il primo matematico europeo, si fece divulgatore attivo della nuova matematica, fondando le scuole d’abaco, scuole di formazione molto simili alle nostre secondarie di primo grado, in cui l’insegnamento della nuova arte contabile era garantito. Sicuramente Fibonacci non immaginava che, dal suo contributo alla matematica, generato da una serie fortuita di eventi combinata alla sua curiosità, avrebbe preso avvio la grande avventura del calcolo algebrico e delle equazioni. È a Fibonacci che si deve, ancor prima dei contributi tecnici specifici, la coscienza dell’importanza di avere delle regole di calcolo comuni, pubbliche e democratiche. Regole che potevano essere utilizzate da chiunque senza necessità che qualcuno fungesse da tramite, garantendo così ciò che è oggi alla base di ogni buona pratica scientifica: la ripetibilità degli eventi. Senza questa matematica, Galilei, Copernico, Keplero, Tycho Brahe e Newton non avrebbero potuto guardare alla volta celeste vedendo qualcosa di più: la sua regolarità.

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