E se il Nobel per la medicina lo vincesse un’intelligenza artificiale?

Uno degli errori più comuni quando si parla di intelligenza artificiale è di immaginarsi uno di quei robot che una vasta cinematografia ha ritratto in tanti film, più o meno di successo. In realtà, l’intelligenza artificiale non è un umanoide con testa, gambe, braccia e torace, e magari delle antenne. O almeno, non lo è per forza. L’intelligenza artificiale è una branca della computer science che funziona con algoritmi che si basano sull’apprendimento (il cosiddetto machine learning). Le sue applicazioni non sono prodotte da invenzioni fantascientifiche, ma sono presenti nel nostro quotidiano in diversi ambiti.

Anche la medicina negli ultimi anni è stata letteralmente invasa dall’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale, tanto che l’Economist ha recentemente immaginato che nel 2036 a vincere il Premio Nobel per la Medicina fosse Yulya, un’intelligenza artificiale. Alla base di quel fantasioso riconoscimento ci sarebbero gli algoritmi di Yulya, capaci di analizzare i dati dei pazienti, i loro sintomi e l’evoluzione stessa delle malattie, sino a giungere a scoprire un perfetto mix di farmaci capaci di superare l’antibiotico-resistenza. Risultato: oltre quattro milioni di vite salvate. La provocazione del noto settimanale britannico, tuttavia, potrebbe ben presto non essere fantascienza, visti i rapidi progressi a cui l’intelligenza artificiale in campo medico ci sta abituando. Secondo una ricerca di Frost & Sullivan’s, il mercato dell’Ia in sanità arriverà a 6 miliardi di dollari nel 2022, con un tasso annuo di crescita del 68%, generando un risparmio pubblico e privato di oltre 150 miliardi di dollari.

Ma in che cosa l’intelligenza artificiale rappresenta davvero una rivoluzione epocale? Dalla diagnosi alla terapia, sono diverse le applicazioni dei suoi algoritmi. Al centro del suo funzionamento ci sono i dati. Un’enorme mole di numeri, cifre, percentuali che l’intelligenza artificiale osserva, decodifica e cataloga, sino a giungere a modelli predittivi dell’evoluzione di una malattia, alla definizione dei tempi di guarigione o anche alla pianificazione di una terapia. Questo perché grazie al machine learning si analizzano i dati delle varie analisi, si confrontano le immagini di radiografie o Tac per giungere a diagnosi precise in diverse branche della medicina: dall’ortopedia all’oncologia ma anche in dermatologia, oculistica e cardiologia. La centralità dei dati nell’applicazione dell’Ia in campo medico ha attirato l’attenzione dei colossi mondiali che basano il loro business proprio sulla raccolta e il trattamento dei big data. Il gigante Google da alcuni anni ha iniziato a puntare sulle applicazioni di telemedicina lanciando strumenti innovativi che, per esempio, con una semplice fotografia diagnosticano problematiche dermatologiche o strumenti informatici che aiutano le persone sordomute a parlare selezionando con lo sguardo delle frasi sullo schermo. Anche la pandemia da Covid-19 ha rappresentato un campo di applicazione di crescente interesse per l’intelligenza artificiale. Si pensi al lancio da parte dell’Istituto di ricerca cinese Alibaba Damo Academy di un test per diagnosticare in 20 secondi il contagio da coronavirus, semplicemente elaborando immagini di una Tac. Anche l’Humanitas di Milano ha sviluppato un algoritmo per individuare, sempre attraverso le immagini di una Tac, i pazienti Covid-19 più gravi che necessitano della terapia intensiva velocizzando e ottimizzando così il processo di triage.

Le problematiche dell’intelligenza artificiale nella medicina, tuttavia, non sono da sottovalutare. Proprio la centralità dei dati nei processi di machine learning pone un problema di reperibilità dei dati e della loro stessa qualità. Statistiche errate o incomplete possono generare errori di apprendimento e risultati fallaci e questo in campo medico è un rischio altissimo. Ci sono poi problematiche relative alla tutela della privacy dei pazienti, che spesso rendono più complesso l’utilizzo dei dati anche per scopi medici. Per non parlare di quei pregiudizi cognitivi o culturali portati nella raccolta dei dati dal ricercatore stesso, una distorsione che rischia di inficiare il corretto apprendimento dell’intelligenza artificiale. È per questo che lo scorso giugno l’Oms ha pubblicato il report Ethics and Governance of Artificial Intelligence for Health, che raccomanda il rispetto di prassi e principi che tutelino l’etica nell’uso dell’intelligenza artificiale in medicina. Anche la Coalizione Internazionale delle Autorità Regolatorie dei Medicinali (Icmra) ha pubblicato il report Horizon Scanning Assessment – Artificial Intelligence contenente raccomandazioni in merito all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’ambito della regolamentazione dei prodotti medicinali. Probabilmente è ancora presto per vedere un Nobel assegnato a un’intelligenza artificiale. Ma Yulya non è poi così distante da Oslo. La realtà, tuttavia, non è finzione più o meno distopica: va analizzata e governata per evitare che il sogno si trasformi in un incubo. Proprio come avviene spesso nella fantascienza.

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