Il fascino senza tempo degli orologi solari

I migliori orologi di oggi sono in grado di misurare intervalli di tempo tanto piccoli e con una tale precisione da mettere alla prova la nostra immaginazione. I peggiori, quelli che sono inseriti nelle penne pubblicitarie, avrebbero comunque vinto il premio di 20.000 sterline – un valore esorbitante all’epoca – offerto nel 1714 a chi fosse riuscito a costruire un orologio tanto preciso da consentire la determinazione della longitudine in mare. Per la cronaca, il premio fu vinto nel 1772 dal falegname-orologiaio John Harrison (1693-1776). E allora che senso ha un orologio solare nella nostra epoca? Ebbene, se gli orologi solari hanno perduto alcune delle loro antiche funzioni, ne hanno acquisite di nuove e certamente non hanno perso una briciola del loro fascino. Un orologio solare non è solo uno strumento scientifico, ma è a tutti gli effetti anche un’opera d’arte. Dell’opera d’arte ha innanzitutto le caratteristiche costruttive, basate su tecniche come l’affresco, il graffito e le più svariate forme di scultura che usano ogni tipo di materiale, dal marmo al bronzo, al cemento armato, per citarne solo alcuni.

Ma dell’opera d’arte un orologio solare ha un’altra importante caratteristica: l’unicità. Se si escludono i pochissimi orologi “universali” portatili, producibili in serie, non ci sono due orologi solari uguali come non ci sono due quadri uguali o due fiocchi di neve uguali. Ogni orologio è infatti frutto della sua localizzazione geografica, della sua esatta orientazione nello spazio e rispetto ai punti cardinali, della tecnica costruttiva o decorativa impiegata, dei dati che si vuole che fornisca e di quel tocco speciale che gli sa dare ogni singolo costruttore. Un orologio solare ha tuttavia qualcosa che una comune opera d’arte, per quanto bella, non possiede: un intimo contatto con la natura, nell’accezione più universale, più cosmica del termine. Nel movimento di un’ombra su un muro, l’occhio attento sa cogliere le leggi che governano i moti dei corpi celesti e le sublimi simmetrie che connotano il moto apparente del sole e lo scorrere delle stagioni.

Un orologio solare, così determinato per alcuni versi dalla sua essenza di strumento astronomico, un oggetto che applica i concetti più complessi della geometria proiettiva, sa anche toccare la parte più profonda della nostra mente e le corde più intime dei nostri sentimenti dandoci non solo una misura ma molte sensazioni su quel fenomeno misterioso che è il tempo. Queste sensazioni, serie, semiserie, talvolta sbarazzine, altre volte truci, trovano un’espressione nelle migliaia di motti che tradizionalmente corredano gli orologi solari.

SONO FORSE GLI STRUMENTI PIÙ ANTICHI USATI DALL’UOMO

Il fascino di quest’ombra che scivola lentamente su un muro è immutato da millenni e non ha risparmiato alcuna civiltà. Certamente era avvertito dai cacciatori del Paleolitico, che prendevano la via del ritorno dalle battute di caccia quando l’ombra di un bastoncino appoggiato sul terreno era più corta, cioè a mezzodì; così facendo, erano certi di ritornare agli accampamenti ancora con la luce, così come erano partiti, “simmetricamente” rispetto al mezzodì, il mattino. Certamente era percepito dagli agricoltori del Neolitico, così dipendenti dalle stagioni per la coltivazione dei campi da costruire enormi e dispendiosissimi monumenti – che oggi chiamiamo megalitici – che ne scandissero l’avvicendarsi. Certamente ha toccato i Babilonesi, i Cinesi, gli Egizi, i Romani, gli Arabi, le civiltà dell’America prima della loro rapida fine, la nostra stessa civiltà occidentale che più di ogni altra ha saputo “ordinare” il tempo entro precisi canoni mentali, sociali, addirittura commerciali, ma che ha anche saputo ridare al tempo il suo aspetto di ente fisico relativo, soggettivo, forse inesistente.

UNO STRUMENTO “NATURALE”

Ma oltre alle belle – o inquietanti – sensazioni che abbiamo detto, quali dati può fornire un orologio solare che interessino l’uomo di oggi? Ecco il primo: l’ora vera locale. È questa l’ora indicata dal più semplice degli orologi solari, come quelli a forma di semicerchio colorato tracciati sulle cascine dell’arco alpino, molto frequenti per esempio in Trentino e Piemonte, e può essere anche molto diversa dall’ora indicata da un comune orologio. Così può succedere che questi semplici orologi solari siano considerati “rozzi” o “sbagliati” dai più incolti.

In realtà, l’ora vera locale è quella dipendente dalla reale posizione del Sole nel cielo nella località considerata e nel preciso giorno considerato. È diversa in località diverse e in giorni diversi dell’anno. Questa variabilità dipende dal fatto che il Sole non ha un moto nel cielo così regolare come spesso si ritiene e dal fatto che in ogni località giacente su un meridiano diverso vige un’ora diversa.

Se questa fosse l’ora in uso, come succedeva fino a un paio di secoli fa, sarebbe quasi impossibile gestire una rete ferroviaria o di telecomunicazioni oppure si dovrebbe consultare un astronomo ogni volta che si dovesse prendere il treno. Ecco che l’ora indicata dai nostri comuni orologi non può che essere l’ora di un tempo che scorre in modo costante, uguale per tutti i cittadini di un’intera nazione, anzi di un intero fuso orario. Questa “praticità” va però inevitabilmente a scapito della “naturalità”. Non rischiamo di perdere il treno, ma non abbiamo più il piacere di vedere la nostra vita scandita dal ciclo solare. A meno che… non abbiamo una meridiana a disposizione.

L’ORA ITALICA

L’ora vera locale non è l’unico dato. Un orologio solare può fornirne moltissimi altri. Facciamo un esempio: fino alla fine del Settecento l’ora come la concepiamo oggi era usata solo dagli astronomi, per i quali i momenti interessanti o – per meglio dire – “culminanti” del giorno sono il mezzodì (istante della “culminazione superiore” o “passaggio al meridiano” del Sole) e la mezzanotte (istante della “culminazione inferiore”). Ma c’era un’intera società che non stava su di notte a guardare le stelle e poi si alzava in tempo per osservare con lo strumento dei passaggi la culminazione superiore del Sole, cioè poco prima di mezzodì. Gli appartenenti a questa società diurna dovevano sgobbare nei campi e nelle botteghe dalla mattina alla sera o, più precisamente, dall’alba al tramonto. Per queste persone, la maggioranza delle persone, i momenti principali della giornata erano appunto l’alba e, soprattutto, il tramonto.

L’alba era scandita dai rumori provocati dal risveglio generale di innumerevoli persone e animali ed era semplicemente il momento di “cominciare”. Proviamo invece a immedesimarci in una di queste persone che, in una normale giornata, hanno già lavorato quattro, cinque, sei ore o anche più nelle lunghe giornate estive. Il tramonto è l’agognato momento del riposo, il momento per ritemprare il corpo e la mente, il momento che suscita quelle squisite sensazioni che il Foscolo ci ha saputo trasmettere. Ma è anche il momento in cui i lavori in corso devono essere finiti, il fieno raccolto, le cose ritirate al sicuro, le bestie nella stalla e i figli a casa. Importa in queste situazioni sapere che sono le 4, le 5 o le 6, così come le intendiamo oggi? Per nulla. Importa unicamente sapere quanto tempo manca al tramonto.

Ecco spiegato perché, fino alla fine del Settecento, l’istante di inizio del giorno non era il mezzodì, come per gli astronomi, o la mezzanotte, come per noi oggi, ma l’istante del tramonto. Quell’istante era l’ora “0” e lo stesso istante del giorno successivo l’ora 24. L’ora così computata è detta ora italica. Dunque alle ore 22 italiche, per esempio, si sapeva che mancavano esattamente due ore al tramonto, indipendentemente dal fatto che fosse inverno o estate. Il fatto che le 22 in piena estate cadessero, per esempio nell’Italia settentrionale, alle 17:40 circa di oggi e in pieno inverno alle 14:20 circa di oggi nulla interessava al contadino. Ciò che contava – lo ripetiamo – è che mancavano due ore al tramonto. Al giorno d’oggi l’ora italica (così come l’ora babilonica, del tutto simile, ma che si computa a partire dall’alba) è un altro dato che possiamo ottenere unicamente da un orologio solare. Ecco illustrato un altro esempio di come un orologio solare ci avvicini non solo alla natura, ma anche alla storia della nostra civiltà, alla sensibilità e ai problemi quotidiani di coloro che ci hanno preceduto.

OROLOGI SOLARI COME CALENDARIO

Un’altra importante funzione degli orologi solari è quella di calendario. Oggi la radio, l’agenda, i calendari appesi alle pareti o il telefonino ci ricordano le ricorrenze o semplicemente l’implacabile passare dei giorni. Lo stesso facevano in passato – e possono tuttora fare – gli orologi solari. Possono indicare i giorni in cui il Sole fa il suo ingresso nei segni o nelle costellazioni zodiacali, il giorno di inizio delle stagioni, oppure i giorni di inizio dei mesi, oppure ancora i giorni in cui il dì ha la durata di un numero intero di ore, oppure ancora la data di ricorrenze interessanti per il proprietario dell’orologio o di interesse generale nella società e nel periodo storico considerato. Sono moltissimi gli spunti e le suggestioni che gli orologi solari possono offrire. Possono essere guardati con l’occhio dell’artista, dello scienziato, dello storico, del filosofo, dell’etnologo, del tecnologo. Ma da loro emana un fascino indefinibile, che non può essere ricondotto ad alcuna disciplina specifica. Una superficie, qualche linea, un’ombra: sono questi i semplici elementi in cui si specchia un universo estremamente complesso con le storie di una moltitudine di individui e di intere civiltà.

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