Un medico libanese aveva detto a sua madre che sarebbe stato uno spreco farla studiare, che era inutile investire su di lei, figlia di immigrati libanesi negli Stati Uniti, non vedente a causa di una rara patologia. Ma Mona Minkara non si è arresa e, sostenuta dalla propria famiglia, ha conseguito una laurea e un dottorato di ricerca in Chimica. Oggi è professore associato presso la Northeastern University di Boston e, in qualità di esperta dei processi che coinvolgono il tensioattivo polmonare, è in prima linea nella lotta al Covid-19.
Di Mona Minkara e di altri scienziati ipovedenti o non vedenti si narra in L’Universo tra le dita, il libro di Michele Mele che racconta le storie, le imprese e le scoperte di dieci scienziati ipovedenti o non vedenti. Nato a Salerno nel 1991 con un’eredodegenerazione retinico-maculare, Michele Mele ha conseguito la laurea magistrale in matematica presso l’università di Salerno e il dottorato di ricerca in Scienze matematiche ed informatiche presso l’università Federico II di Napoli. Oggi, è un giovane ricercatore nel campo della Ricerca operativa, una branca della matematica applicata che studia problemi di decisione e di ottimizzazione.
Seguendo la stessa procedura con cui si smentisce un’affermazione matematica fallace, ovvero fornendo un controesempio che mostri l’inconsistenza dell’asserzione, Mele con il suo libro ha presentato le “prove in carne ed ossa dell’infondatezza dei pregiudizi che ancora oggi costituiscono il principale scoglio da superare per raggiungere la piena gratificazione personale”, come si legge nell’introduzione dell’opera. L’Universo tra le dita è diventato anche una pagina Facebook e un canale Instagram, attraverso i quali Mele non svolge solo attività di promozione del suo libro, ma condivide soprattutto storie e notizie relative ai processi di inclusione.
Come nasce l’idea di scrivere il libro?
Pochi giorni prima che il Covid-19 stravolgesse le nostre abitudini, durante una chiacchierata telefonica con una cara amica emerse l’argomento dei pregiudizi che le persone con disabilità, in questo caso gli ipovedenti e i non vedenti, devono affrontare tutti i giorni. Fu quest’amica a suggerirmi che, dato il mio background scientifico e la mia passione per la storia, avrei potuto scrivere un libro sull’argomento; così decisi di andare alla ricerca delle storie di grandi scienziati con patologie della vista. L’obiettivo è quello di scardinare i preconcetti che ancora limitano la libertà di scelta di chi ha un residuo visivo scarso o del tutto assente, quegli stigmi che ancora oggi li allontanano, spesso in precoce età, dalle discipline scientifiche, erroneamente considerate a loro inaccessibili.
Chi sono gli scienziati protagonisti del libro?
Non volendo compilare un’enciclopedia degli scienziati ipovedenti o non vedenti e non esistendo materiale sufficiente per scrivere con uguale ricchezza di dettagli di tutte le figure in cui mi sono imbattuto, ho selezionato dieci storie, sei scienziati del passato e quattro viventi, matematici, chimici, ingegneri, più un medico e un entomologo, tutti accomunati dall’aver fornito un contributo importante al nostro sapere. Le appassionanti vicende biografiche di questi scienziati sono lo spunto per riflessioni più profonde su alcuni temi di stretta attualità, tra cui il ruolo della scuola nella creazione di un contesto inclusivo, il concetto di fiducia, l’eliminazione di ogni forma di autocommiserazione. Si tratta di un saggio divulgativo; non troverete formule o schemi, ma personaggi a cui non sarà difficile affezionarsi, vicende che ancora oggi costituiscono un esempio e un monito per la nostra società.
Tutte le storie raccontate hanno come tratto comune l’amore per lo studio e per la ricerca. Si tratta di valori che si possono trasferire?
Sono certo che, se si ponesse un freno alla retorica che indica le scienze come discipline fredde e meccaniche e se si presentassero invece questi rami del sapere quali indispensabili settori della cultura, si otterrebbe un maggior coinvolgimento da parte dei ragazzi in età scolare. E non sarebbe certo una forzatura dato che tutte le discipline, incluse arte e musica, poggiano inevitabilmente sulla scienza. Risulta pertanto fondamentale illustrare come viene condotta l’attività di ricerca scientifica, come si giunge a una scoperta e quali sforzi e capacità richiede l’avanzamento della scienza. Anche per contrastare coloro che vivono di una costante mistificazione dei fatti e di una becera distorsione dei dati per fini politici e propagandistici, spesso dannose all’economia e alla salute collettiva.
Come nasce la passione per la matematica? È in qualche maniera legata alla sua disabilità?
Non riesco a ricondurre la nascita della mia passione per la matematica a un singolo evento, forse sono semplicemente nato con questa propensione. Da piccolo tuttavia ero ben conscio del mio scarso residuo visivo e sapevo di dovermi talvolta muovere tra due punti o compiere alcune operazioni in completa autonomia evitando degli ostacoli. Quando poi all’università ho seguito la prima lezione del corso di Ricerca operativa ho compreso che quella disciplina corrispondeva a ciò che avevo fatto per tanti anni: trovare un percorso ottimale o una serie di azioni ben ponderate, una soluzione a un problema con parecchi vincoli. Avrei comunque seguito la strada della ricerca anche senza incontrare questo ramo della matematica, ma di certo è stata una piacevole coincidenza.
Il suo è un libro di forte impatto, che dimostra come i limiti si possano affrontare. Lei quanti pregiudizi deve affrontare nella sua attività?
Ho incontrato un buon numero di persone, tra le quali un mio ex professore di matematica e fisica al liceo, convinte che la matematica non facesse per me a causa della mia patologia, talmente imbevute di pregiudizi da non vedere oltre la punta del proprio naso. Non mi riferisco solo all’ambito scientifico e professionale. Ho però incontrato anche persone in grado di andare al di là degli stigmi, valutandomi come matematico e come uomo; tra di loro i membri del mio attuale gruppo di ricerca all’università del Sannio, gli operatori del Centro d’Ateneo SInAPSi dell’università di Napoli Federico II e la professoressa Veronica Gavagna, tra i massimi esperti della storia della matematica, che ha gentilmente accettato di scrivere la prefazione del mio libro.
Come si convive con la disabilità?
Ho sempre ricevuto il sostegno incondizionato della mia famiglia e questo è già, come si evince anche dalle biografie di cui ho scritto in L’universo tra le dita, un punto di partenza non trascurabile. Sono inoltre molto testardo e non mi faccio intimorire dagli atteggiamenti misoneisti che talvolta mi trovo ad affrontare. Da un punto di vista pratico, invece, mi avvalgo di alcune tecnologie assistive per portare avanti le mie attività.
Sulla disabilità la società civile fa abbastanza?
Sono fermamente convinto che sia il contesto a determinare la disabilità, non un pugno di cellule in meno o una patologia. Ad esempio, che cosa accadrebbe a un individuo perfettamente sano che venisse trasportato, senza alcuna conoscenza delle usanze del posto e della complicatissima lingua locale, in una comunità di boscimani isolata dal mondo esterno? Pur disponendo di gambe per camminare e correre, di braccia forti per lavorare e di occhi perfettamente sani, avrebbe difficoltà ad integrarsi e vivrebbe una reale situazione di disabilità. Questo è solo un esempio, un po’ estremo, che tuttavia sottolinea l’importanza che il contesto può assumere per tutti noi. Ognuno di noi ha il dovere di fare la propria parte nella creazione di una società inclusiva e priva di barriere architettoniche e culturali. Non solo coloro che spesso progettano le nostre città e le nostre infrastrutture ignorando i bisogni di alcuni gruppi di minoranza, ma letteralmente ogni cittadino. Il rispetto delle regole è soltanto il primo passo nella costituzione di un contesto inclusivo. Deve essere affiancato da un concreto impegno per il superamento dei pregiudizi verso qualunque minoranza ed è per questo che spero che il mio libro possa entrare nelle scuole e nelle università, officina della società del domani.