Il matematico quasi olimpico

Gli appassionati di calcio vivono oggi in un’epoca in cui ogni loro desiderio di vedere qualche partita può essere appagato. La diffusione di questo sport è planetaria e probabilmente in ogni istante della giornata, da qualche parte nel mondo, si sta giocando una partita di calcio a livello professionistico: oltre ai singoli campionati abbiamo le coppe, i campionati europei, i campionati mondiali, le coppe intercontinentali, le supercoppe e chi più ne ha più ne metta. Senza dimenticare le Olimpiadi.

Ma un tempo non era così: i campionati europei sono stati istituiti nel 1960 e i mondiali nel 1930. Prima di queste date, le uniche competizioni in cui le nazionali si affrontavano erano le Olimpiadi che costituivano l’analogo di quel che oggi sono i mondiali, tant’è che la nazionale dell’Uruguay mostra quattro stellette sulla sua maglia, pur avendo vinto solo due campionati del mondo, in quanto rivendica le vittorie olimpiche del 1924 e 1928 come mondiali a tutti gli effetti.

Se la prima squadra di calcio fu fondata nel 1863 a Londra, quarant’anni dopo lo sport era così diffuso che si iniziò a porre il problema di organizzare competizioni internazionali. In questo contesto, nel 1904 venne istituita a Parigi la Fifa che si occupò quattro anni dopo dell’organizzazione del primo mondiale per squadre nazionali, nell’ambito della quarta Olimpiade di Londra del 1908.

Questa quarta Olimpiade ci coinvolge sotto diversi punti di vista: intanto avrebbe dovuto svolgersi a Roma, ma l’eruzione del Vesuvio del 1906 convinse (giustamente) a dirottare sulla ricostruzione i fondi inizialmente previsti per la manifestazione. Ma, soprattutto, nel nostro immaginario sono indelebili le immagini di Dorando Petri, il runner emiliano che giunse stremato all’ultimo miglio della maratona e tagliò il traguardo aiutato dagli arbitri che lo sollevarono dalle numerose cadute. Petri fu squalificato ma fu anche considerato il vincitore morale tanto che Sir Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, organizzò una colletta per fargli aprire una panetteria a Carpi.

Tornando al calcio, la finale del torneo a squadre (solo otto, delle quali due diverse nazionali per la sola Francia!) fu disputata fra Inghilterra e Danimarca: vinsero i padroni di casa 2-0. Un risultato che impedì a un grande matematico di fregiarsi del doppio titolo di campione olimpionico e del mondo.

Questo quasi-campione era Harald Bohr, fratello dell’ancora più celebre Niels Bohr, uno dei fondatori della teoria dei quanti e della fisica atomica, premio Nobel per la fisica nel 1922. Quella dei Bohr è stata una dinastia di scienziati che apparteneva a una influente famiglia danese. Harald si iscrisse all’università a diciassette anni, nel 1904, ma aveva iniziato a giocare a calcio al liceo dove si considerava questo sport – allora agli albori – utile come disciplina di educazione fisica. Entrambi i fratelli Bohr giocarono per la squadra di calcio dell’università di Copenaghen, ma Niels, che giocava nel ruolo di portiere, con i fatti dimostrò che quella scientifica era la sua vera strada. Durante una partita con una squadra tedesca, un avversario tirò da una lunga distanza e Niels, appoggiato al palo della porta, non parve accorgersene consentendo un gol che un portiere più attento avrebbe evitato. La partita terminò 18-0 e, alle rimostranze dei compagni, il futuro premio Nobel ammise che era intento a pensare a un problema matematico.

Harald riusciva invece a separare meglio i due ambiti: giocava mediano ed era considerato uno dei migliori giocatori danesi. Per aiutare il fratello nel preparare la tesi di dottorato non poté partecipare ai giochi olimpici intermedi del 1906, disputati per il decennale della prima olimpiade moderna, che la Danimarca vinse 9-0 contro la Grecia (ritiratasi alla fine del primo tempo). Si rifece però due anni dopo, alle Olimpiadi del 1908, dove segnò due gol contro la Francia “B” (in un’altra partita finita 9-0, tempi eroici!) e partecipando alla partita che ancora detiene il record olimpico di gol fatti: Danimarca-Francia A finì infatti 17-1. La sua fama di calciatore fu tale che il giorno della sua tesi di dottorato l’aula dell’università di Copenaghen era gremita… di tifosi! Era il 1910, l’anno del ritiro di Bohr dalla scena calcistica, nel quale disputò un’ultima partita contro la nazionale inglese dilettanti, vincendo per 2-1.

Da quel momento l’unica attività di Bohr fu la matematica, nella quale lasciò un’orma profonda per le sue ricerche di teoria dei numeri, dove studiò le cosiddette serie di Dirichlet e la celebre funzione zeta di Riemann (protagonista dell’ipotesi di Riemann ancora irrisolta). In seguito, nel campo dell’analisi matematica, definì e studiò le funzioni quasi-periodiche, funzioni che sono “approssimativamente periodiche”, come per esempio i polinomi trigonometrici che sono polinomi in seni e coseni che compaiono nella teoria delle serie di Fourier. La teoria di Bohr è stata estesa in vari modi e ha trovato fecondissime applicazioni non solo in analisi ma anche in meccanica celeste, in topologia e nella teoria dei segnali.

Fino a poche settimane fa Harald Bohr era anche l’unico matematico ad aver vinto una medaglia olimpica: il recentissimo oro olimpico dell’austriaca Anna Kiesenhofer, medaglia d’oro a Tokyo 2020 per la corsa ciclistica su strada, ha infranto questo lungo record.

Nel mondo dello sport ci sono stati comunque altri atleti che non hanno disdegnato la nostra scienza: un altro celebre accademico sportivo è stato Frank Ryan, quarterback dei Los Angeles Rams, dei Cleveland Browns e dei Washington Redskins negli anni ’60, esperto di teoria geometrica delle funzioni e di analisi complessa, che ha rivestito posizioni accademiche a Rice e Yale. Due esempi più recenti sono i calciatori Jean-Alan Boumsong, che ha giocato anche nella Juventus ed è laureato con lode in matematica a Le Havre, e Glen Johnson (laureato in matematica) che ha giocato nel Chelsea e nel Liverpool.

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