Il giorno in cui l’Italia andò on line

Ping/Ok. La storia della rete in Italia inizia con questo comando inviato da Pisa e una risposta ricevuta dalla Pensylvania. Era il 30 aprile 1986, il giorno in cui l’Italia entrò in internet. Via Santa Maria 36 a Pisa dista 6.803 Km dalla stazione satellitare di Roaring Creek sulla East Coast americana. Una distanza annullata da quel segnale inviato dal Centro Nazionale Universitario per il Calcolo Elettronico del Cnr di Pisa (Cnuce), rimbalzato sulle antenne del Fucino e arrivato ad un satellite sull’Atlantico proprio nei pressi della stazione americana in Pennsylvania. Dopo Norvegia, Regno Unito e Germania, l’Italia divenne così il quarto Paese d’Europa a connettersi a internet. Un risultato storico ma, sfogliando i giornali dell’epoca, non troverete traccia di quell’esperimento riuscito. Il mondo in quei giorni guardava con ansia ad est, a Chernobyl, il cui disastro nucleare doveva ancora rivelare tutta la sua drammaticità.

Ma il 30 aprile del 1986 rappresenta davvero un punto di svolta per il nostro Paese. L’ultimo tassello di una lunga storia che il professor Luciano Lenzini, fisico presto convertitosi alla rete e ai computer e tra i protagonisti di questa epopea, ha deciso di raccontarci. L’avventura di internet inizia nel mondo il 29 ottobre del 1969. La data, divenuta poi la Giornata Mondiale di Internet, segna il primo trasferimento di dati sulla rete Arpanet tra l’università di Los Angeles e lo Stanford Research Institute di Palo Alto, vicino a San Francisco. “Erano le nove di sera quando dalla California fu mandato un messaggio Log in – racconta Lenzini, ora professore ordinario del dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Pisa – ma a destinazione arrivarono solo le prime due lettere. Un secondo tentativo avvenne un’ora e mezza dopo e questa volta il messaggio fu completamente recepito a Stanford. È questo il tempo zero di internet, o meglio di Arpanet”. Il professor Lenzini da sempre si occupa di networking, disciplina dell’informatica che studia proprio i sistemi costituiti da computer che interagiscono scambiandosi messaggi. Torniamo in America. Accanto ad Arpanet vi erano tante reti diverse che mettevano in comunicazione ognuna i propri nodi. Il problema era rendere interoperabili queste reti ed è qui che si inserì il lavoro di Robert Kahn e Vinton Cerf, i quali idearono il Transmission Control Protocol (TCP/IP) permettendo alle varie reti di parlarsi e di iniziare a trasferirsi pacchetti di dati.

Il lavoro di Kahn e Cerf non era passato inosservato in Italia, dove nel frattempo il Cnuce dall’università di Pisa era stato trasferito sotto il controllo del Cnr e dal 1970 aveva lanciato il progetto Reel (REte di ELaboratori) per progettare e realizzare una rete di computer che servisse a interconnettere i centri di calcolo scientifici italiani.

“Nel clima della guerra fredda, Arpanet negli Usa nacque per scopi militari, ma poi fu sviluppato nel mondo universitario – spiega Lenzini – Il suo successo era noto a livello accademico in Italia, tanto che il Cnr decise di inserirsi nel suo sviluppo con motivazioni prettamente economiche: se riusciamo a collegare i vari centri di calcolo sparsi nella penisola, si pensava, potremmo evitare di comprare enormi e costosi calcolatori”.

L’obiettivo fu conseguito nel 1976 con il lancio del primo protocollo di comunicazione italiano: Rpcnet (REEL Project Computer NETwork). In pratica, se prima ciascun centro di calcolo condivideva i dati con i suoi utenti, ora grazie a questo protocollo i tanti centri di calcolo italiani potevano condividere tutte le informazioni.

Ecco che cos’è la rete degli albori: uno straordinario mezzo di condivisione di conoscenze tra università, centri di calcolo, laboratori di ricerca. “RPCNET fu sicuramente un successo, ma aveva anche dei limiti: funzionava solo con macchine Ibm e i suoi protocolli non erano conformi agli standard internazionali Osi (Open Systems Interconnection) dell’Iso (International Standards Or- ganization). Perciò il Cnuce propose al Cnr il varo del progetto Osiride (OSI su Rete Italiana Dati Eterogenea) per interconnettere i centri di calcolo Cnr e universitari italiani”.

Nella guerra dei protocolli, Osiride rappresentò un successo di portata internazionale, tanto da attirare l’attenzione dei grandi costruttori hardware tra cui Ibm e Olivetti. Tuttavia, a livello mondiale si stava imponendo sempre più la superiorità dell’Internet americano. “Io volevo un progetto tutto italiano – ammette il professor Lenzini – ma al contempo comprendevo l’importanza di coinvolgere anche il nostro Paese in quell’internet che stava prendendo sempre più piede”. Da questa convinzione nacque una decisione storica di Lenzini: quella di scrivere nel 1980 una lettera a Robert Kahn chiedendo espressamente di far partecipare il Cnuce al progetto di internet in Europa. “La risposta fu immediatamente positiva, ma solo sei anni dopo riuscimmo ad attivare il primo nodo italiano di internet”.

Il perché del lungo tempo trascorso è da ricercarsi nella classica storia italiana fatta di geniali accelerate scientifiche e di rovinose frenate burocratiche. “Dovevamo mettere in comunicazione Italcable, TeleSpazio, la SIP e il Ministero della Difesa con il Cnr e i tempi inevitabilmente si allungarono, anche perché le società di telecomunicazione in quegli anni puntavano sulla trasmissione della voce e non su quella dei dati”.

Il business di quelle che oggi chiameremmo Telco era tutto rivolto alla telefonia, che di lì a pochi anni avrebbe portato i telefoni cellulari in tutte le nostre tasche. Non si riusciva invece a vedere ancora un futuro per il business legato alla trasmissione di dati.

Nel 1984, poi, arrivò una doccia gelata: dagli Usa richiedevano come hardware per la connessione il cosiddetto Butterfly Gateway (a farfalla perché dotato di 256 processori collegati a farfalla).

Ci volevano nuovi fondi e l’impresa si stava dimostrando così ardua da convincermi ad andare a Washington e annunciare al gruppo di lavoro internazionale il ritiro italiano per problemi di fondi”. Ma qui avvenne l’ennesimo colpo di scena della nostra storia: “Durante un coffee break, Robert Kahn mi comunicò la decisione del Dipartimento americano della difesa di finanziare l’acquisto del Butterfly Gateway che, in pochi giorni, arrivò in Italia”.

Ecco come si arrivò a quel 30 aprile, ecco come si arrivò a quel Ping/Ok. Ma i ricercatori del tempo compresero che genere di rivoluzione quell’invio di dati avrebbe rappresentato per l’umanità? “Onestamente no. Eravamo concentrati sulla nostra ricerca accademica. Sicuramente era tutto un grandissimo successo, ma le applicazioni non potevamo conoscerle”. Sarà infatti lo scienziato britannico Tim Berners-Lee, nel 1989, a ideare nei laboratori del Cern, a Ginevra, il World Wide Web (www), il servizio applicativo che è arrivato sino ai giorni nostri sfruttando proprio l’infrastruttura tecnologica di internet.

La storia della rete è tutt’altro che terminata. Le sue evoluzioni sono tante e tra queste ce ne è una su cui il prof. Lenzini sta lavorando: il Quantum Internet. “L’internet quantistica si basa sulla meccanica quantistica e sul concetto di qubit. I bit possono avere come valore o uno o zero, mentre il quantum bit può trovarsi in una infinità di stati ottenuti dalla sovrapposizione degli stati 0 e 1. Il Quantum internet, in particolare, sfrutta l’entanglement dei qubit ovvero la loro capacità di essere legati tanto che, anche se distanti, un’azione effettuata su uno di loro si ripercuote sull’altro. Questa proprietà consente il teleporting, ovvero la capacità di muovere un qubit in un posto lontano senza alcun segnale.

Oggi i bit di internet viaggiano attraverso i segnali, con il quantum internet potremmo operare sui qubit senza segnale. Questo può consentire di compiere operazioni al momento fuori dalla portata di internet”. Una rivoluzione, insomma. L’ennesima su cui il professor Lenzini ha deciso di puntare. Visti i precedenti, l’impressione è che ci sarà da divertirsi.

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