Stile libero – Robot e pappagalli

Mi capita di visitare una scuola innovativa: una di quelle che finiscono sui giornali e nei corsi di aggiornamento. Non vedo sui banchi o negli scaffali libri o quaderni, ma ognuno ha in mano il suo iPad. I bambini della primaria riuniti in banchi a circolo maneggiano led, arduini, cavi. I più grandi esibiscono robottini, oggetti prodotti dalla stampante 3D e mettono in scena dialoghi accompagnati da proiezioni tramite i loro iPad.
Il robottino percorre il perimetro di un rettangolo: il ragazzino sentenzia che l’area è base per altezza. Ma il robottino percorre il perimetro e nulla dell’esperienza che il ragazzo sta facendo porta a un’intuizione dell’area. È una nozione già appresa, evidentemente, che viene riportata. Mi spiegano che ci sono i saperi minimali delle discipline e che per quelli ci sono le lezioni frontali.
Nell’altra classe, i bambini recitano in inglese una narrazione sui numeri naturali. Chiedo allo spigliato presentatore di spiegarmi cosa vuol dire numero naturale. Ne lui né i compagni hanno alcuna idea, anche se lavorano da un mese sul progetto. Però la grafica della presentazione, una mappa concettuale colorata proiettata sul muro, è accattivante: i ragazzini padroneggiano le app sui loro iPad con cui realizzano facilmente schemi, mappe, composizioni. Sempre molto eleganti e colorate. Ci spiegano che le lavagne di ardesia sono state tutte tolte, sono ammesse solo lavagne luminose e schermi.
Tre ragazzini presentano, come attività di storia dell’arte, i modellini fatti con la stampante 3D di grandi monumenti. Ma ne conoscono a mala pena il nome, non altro.
Esco dalla visita sovrappensiero e un poco perplessa. Mi domando se un uso fideistico delle nuove tecnologie (tablet, robottino, arduino, stampante 3d, visore 3d ecc… ma sempre le stesse?) non rischi, in alcune esperienze, di diventare anche un espediente per evitare la fatica delle didattiche disciplinari. Se la matematica non rischi di tornare ad essere un insieme di meccanismi da applicare, di formule ancillari citate nel fare altro, anziché un’esperienza concettuale profonda e densa in sé stessa di valori intellettuali affascinanti e formativi.
Quale strutturazione del pensiero può dare, in generale, una disciplina se viene coinvolta solo episodicamente, senza essere costruzione di senso coerente, senza sollecitare anche curiosità inutili? Il compito di realtà, il problem solving, l’imparare attraverso il fare sono strategie che mettono alla prova il reale possesso di competenze, come saperi padroneggiati, implementati e efficaci. Ma mi pare, viceversa, che si stia rischiando di tornare a considerare le conoscenze solo come nozioni impiegabili occasionalmente e spesso pretestuosamente. Davvero, come ci spiegano, le discipline sono da abolire?
E la matematica è un lavoratore a progetto, chiamato di tanto in tanto a eseguire qualche lavoretto all’interno di una impresa qualsiasi?

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