La caduta del muro e la diaspora dei matematici sovietici

La libertà seguita allo storico evento ha inaugurato un vorticoso movimento verso Ovest che ha cannibalizzato antiche scuole, come quelle di Mosca e di Leningrado

Al Congresso internazionale dei matematici (Icm) del 1986, che si è tenuto a Berkeley, ben 30 dei relatori di primo piano (invited speakers) erano matematici provenienti dall’Unione Sovietica. Contando anche gli oratori nelle sessioni collaterali, si raggiungevano gli 80 inviti. Quindici anni dopo, all’Icm indiano di Hyderabad, gli invitedspeakers con affiliazione presso un’università di un Paese ex sovietico erano 5 e si arrivava a 30 con le altre sessioni. Non che mancassero tanti nomi dell’Est, ma lavoravano in università americane, europee, europee e israeliane.
Sebbene strettamente collegato alla caduta del Muro di Berlino, il fenomeno della diaspora dei matematici dei Paesi dell’Est non inizia, in realtà, nel novembre del 1989. Le dure condizioni di vita al di là della cortina di ferro, la repressione del dissenso e il diffuso antisemitismo, avevano spinto già negli anni Sessanta e Settanta molti matematici a sfruttare l’occasione dei convegni all’estero per lasciare il loro Paese. Nei primi anni Settanta, il giovane Lusztig (medaglia Wolf nel 2022) lascia Timisoara per l’Ovest come faranno anche, tra gli altri, l’ungherese Bollòbas e i russi Gromov e Piateskii-Shapiro. È per questo che negli anni successivi aumentano le restrizioni ai viaggi all’estero.
Così Novikov a Nizza nel 1970 e Margulis a Helsinki otto anni dopo non possono ritirare di persona le loro medaglie Fields e un giovane Drinfel’d può solo inviare un contributo scritto al già citato Icm di Berkeley del 1986. Mediamente, solo la metà degli invitati dei Paesi oltre cortina riesce a uscire.
La scuola matematica sovietica di quegli anni è ai primi posti nel mondo. I seminari del MekhMat di Mosca o dello Steklov di Leningrado sono posti dove nascono idee creative, non meno che a Princeton o al Mit di Boston. Gli scambi sono affidati ai pochi congressi, spesso in Paesi neutrali, per i quali viene concesso qualche visto, non di rado con qualche spia del Kgb infiltrata tra i partecipanti. Quando inizia la perestroika di Gorbaciov, già prima che si prefiguri il crollo del Muro, le più prestigiose università occidentali iniziano un corteggiamento ufficioso, fatto di bigliettini recapitati rocambolescamente con offerte in codice di posizioni e stipendi.
La caduta del Muro e la conseguente libertà di movimento inaugurano un giro vorticoso dei più importanti matematici dell’Est, invitati in posizione di visiting professor da prestigiose università occidentali. È l’occasione per vedere con i loro occhi le allettanti condizioni di lavoro che vengono promesse fuori dal loro Paese.
L’Icm di Kyoto del 1990, il primo dopo la caduta, si svolge in un’atmosfera elettrica, con trattative, proposte e ammiccamenti.
La qualità della matematica sovietica è tale che tutti i migliori dipartimenti del mondo sperano di poter convincere qualche prestigioso collega a un trasferimento. Si muovono matematici già affermati, come Yuri Manin che va alla Columbia University, Sinai che si trasferisce a Princeton, Albert Schwarz che sceglie la California o il 77enne Gel’fand che va a Rutgers. Partono anche matematici giovani come Zelmanov, che si trasferisce in Wisconsin quattro anni prima di vincere la medaglia Fields, e giovanissimi come Kontsevich, che si trasferisce a Berkeley (lui vincerà la medaglia Fields nel 1998), e Voevodsky (medagliato nel 2002), che parte per un dottorato ad Harvard. L’intera scuola di fisica matematica di Fadeev a Leningrado viene vampirizzata. Semonov Tian-Shanksii va a Lyon, Reyman a Zurigo, Takhtajan a New York e Reshetikhin sulla costa ovest degli Usa, anche lui a Berkeley. Il vecchio leone Fadeev rimane in patria, circondato da qualche collega più sfiduciato e da una manciata di allievi giovanissimi.

L’Europa non resta a guardare e, pur avendo posizioni accademiche meno flessibili, riesce lentamente a riattirare Kontsevich a Parigi, città che garantisce anche una doppia affiliazione ad Arnol’d, e a portare alla direzione del Mpi di Boston Yuri Manin. Anche l’Italia fa la sua parte: il bulgaro Dikranian si accasa a Udine e i russi Dubrovin e Vinogradov rispettivamente a Trieste e a Salerno. Le doppie affiliazioni diventano lo strumento che garantisce a molti scienziati sovietici di mantenere un contatto con la madre patria garantendosi uno stipendio europeo o nord-americano, cosa che durante gli anni ’90, con la grave crisi economica della Russia, diventa sempre più importante. Non erano pochi i professori russi costretti a integrare il magrissimo stipendio con una più remunerativa attività di taxista, esercitata di notte o nei weekend. Proprio per questo, nella parte centrale degli anni Novanta, si verifica una seconda ondata di partenze che coinvolge quasi tutti i più promettenti giovani matematici russi, convinti di non avere alcun futuro in patria.

Si stima che in questo periodo mille matematici abbiano lasciato la Russia per gli Usa e grosso modo altrettanti per i Paesi europei (con Francia e Germania a farla da padroni). Restano, convinti di dover mantenere una scuola di qualità in patria, matematici del calibro di Shafarevich e Novikov, Vinberg e Fadeev, Olga Ladyzhenskaja e la sua validissima allieva Uralt’seva. Drinfel’d dedica i primi anni Novanta alla ricostruzione dell’istituto di matematica di Karkhiv, in Ucraina, prima di partire per Chicago. La convinzione di dover restare si è rivelata più diffusa nei Paesi dell’ex-blocco sovietico e molti matematici polacchi, boemi, rumeni, bulgari e dei Paesi baltici hanno rifiutato vantaggiose offerte dall’estero per partecipare alla rinascita delle rispettive comunità nazionali. In ogni caso, la coesione tra chi se ne è andato e chi è rimasto è ancora, a distanza di quasi 30anni, molto forte. La sensazione di aver usufruito delle possibilità date da un sistema forse irripetibile, che anteponeva sempre il sapere agli interessi particolari, ha lasciato un senso di obbligo morale a restituire alla matematica dell’area ex-sovietica quello che in altri tempi aveva saputo dare.

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