Stile libero – Sovranità digitale

Se l’educazione alimentare nelle scuole italiane fosse appaltata a Mc Donald’s e Coca Cola si solleverebbe una protesta epica da parte di genitori e insegnanti. Eppure, durante i mesi in cui la pandemia ha bloccato buona parte del Paese, le scuole italiane hanno potuto svolgere il preziosissimo compito di mantenere accesa la comunicazione didattica solo grazie alle Gafam (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, le grandi multinazionali dell’informatica).
Non è neanche iniziato tutto allora, a marzo 2020. Da parecchi anni, gli sforzi del Ministero per digitalizzare la scuola italiana (agende digitali, animatori digitali ecc.) investono moltissime energie nel fidelizzare gli operatori della scuola a strumenti come G Suite (ora Google Workspace) o altri. Con il lockdown e le successive restrizioni alla didattica in presenza, i servizi gratuiti sono stati provvidenziali per sopperire alla mancanza di strutture pubbliche permettessero di fare videoconferenze. Ma la Dad non è che uno dei tanti utilizzi delle infrastrutture informatiche, sia generaliste, sia dedicate alla didattica. Ormai indispensabili per l’operatività e le nuove metodologie didattiche sono le possibilità di fornire esercizi e verifiche su moduli, l’inserimento di indicazioni e compiti, la condivisione di documenti, video, audio ecc…
Alcune scuole addirittura esibiscono come un vanto il fatto di far usare devices monomarca (le famose scuole senza zaino in alcuni casi impongono gli iPad). Certamente è meglio che i docenti sappiano usare il digitale per la didattica, ma davvero si può accettare che un oligopolio di grandi multinazionali abbia in mano la scuola pubblica italiana? Che cosa succederebbe se a un certo punto le imprese coinvolte imponessero condizioni commerciali troppo condizionanti o troppo esose valendosi di quella che è praticamente una esclusiva sulle pratiche didattiche della scuola italiana? Sarebbero in grado i docenti italiani di migrare su altre piattaforme o tutto il servizio pubblico dovrebbe inchinarsi a qualsiasi condizione posta dai fornitori?
Gli 800 milioni promessi dal precedente ministro per la formazione al digitale serviranno a aumentare i clienti monomarca di software proprietario o ad aprire esperienze di utilizzo, ma magari anche condivisione e creazione di software open source? Non sono mancate iniziative e leggi illuminate per sostenere e diffondere l’open source nella nostra pubblica amministrazione (obbligo di scelta prioritaria, di riuso ecc.). Ma poi sembra che nei bandi e nei grandi progetti ci si dimentichi del prevalente interesse pubblico.
Mentre in altri Paesi europei la Dad ha avuto a disposizione infrastrutture pubbliche a codice aperto (in Francia, per esempio, il ministero ha fornito Apps.education.fr), in Italia si continua a investire, anche le ingentissime risorse del Pnrr, senza mettere come priorità la sovranità digitale italiana (meglio sarebbe europea).

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