Mersenne e il Natale

Per le vie illuminate dal Natale, nell’aria mite dell’inverno romano, capita ancora di sentirle, dolcissime, mentre raccontano il Prodigio: sono le zampogne, in cui pastori provenienti dall’entroterra montano del basso Lazio soffiano popolari armonie. I pifferari suonano in coppia (li vedete nell’immagine di copertina, in un’acquaforte di Bartolomeo Pinelli del 1815), uno la zampogna l’altro la ciaramella, vestono i loro abiti tipici e le cioce ai piedi, calzature proprie dei contadini del frusinate, e accettano con gratitudine le offerte di chi ascolta.

La figura di questi suonatori rivestiva un ruolo importante nella Roma papalina: arrivavano in città nel giorno di
Santa Caterina, il 25 novembre, a portare la novena dell’Immacolata e di Natale. Al tempo del pontefice Paolo III, ogni novena costava due paoli, la moneta corrispondente a circa 3.85 grammi d’argento, il che permetteva ai musici di guadagnare cifre apprezzabili e vivere serenamente per qualche mese.

Simboli di questa religiosità popolare, diffuse in molte strade romane, soprattutto trasteverine, sono le madonelle, le piccole edicole davanti alle quali s’intonavano le novene. Fu il vescovo, dottore della Chiesa, Alfonso Maria de’ Liguori, nato a Napoli nel 1696, che volle per primo l’accompagnamento musicale degli zampognari alle preghiere del popolo perché, a dispetto della rigida cultura ecclesiastica del tempo, era convinto che la santità non fosse appannaggio dei soli uomini di chiesa, e che la musica potesse avvicinare il suo popolo a Dio. Fu lui a scrivere la
popolare “Quanno nascette Ninno”, italianizzata in “Tu scendi dalla stelle”, divenuta la canzone natalizia per antonomasia.

Nel Seicento si sentì l’esigenza di dare alla zampogna tradizionale un suono più delicato e dolce, conferendole capacità sonore simili a quelle di un organo: nacque così la zampogna cortese. Fu il grande collezionista e inventore Manfredo Settala (1600-1680), detto l’Archimede milanese, che aveva un meraviglioso laboratorio nelle sale della Basilica di S. Nazaro Maggiore, il quale aggiunse ventiquattro chiavi alla zampogna tradizionale napoletana, leve che permettevano di aprire e chiudere fori al di fuori della portata delle dita, aumentando così l’estensione dei suoni e
migliorandone l’intonazione. Così nacque la sordellina che si diffuse nelle corti di Napoli e Firenze, una zampogna dal suono raffinato e contenuto, che era soffiata a mantice e quindi concedeva al musico di accompagnarla con il canto. Purtroppo, dato l’elevatissimo costo e la difficoltà di costruzione, di questo strumento si persero le tracce verso la fine dello stesso secolo che la vide nascere.

Disegno di una sordellina, tratto dalla Harmonie Universelle di Marin Mersenne

E’ stato grazie ad alcuni dipinti che la raffigurano tra angeli musicanti e a un matematico e filosofo amico di Cartesio, Marin Mersenne, che il costruttore di zampogne e membro dell’Orchestra Popolare Italiana, il maestro Marco Tomassi, ha potuto ricostruirla. Ai matematici Mersenne è noto per aver dato una forma particolare ad alcuni numeri primi, mentre ai fisici per la legge che stabilisce una relazione tra la frequenza di oscillazione e la tensione di una corda. Non tutti sanno che, tra i suoi interessi primari, c’era la musica e che nel suo scritto “Harmonie universelle” del 1636, descrisse tutti gli strumenti musicali nei minimi dettagli, zampogne comprese! Grazie anche a lui, dopo quasi 400 anni, nel 2019 durante la XXVI edizione del Festival della Zampogna di Maranola, piccolo borgo laziale, la sordellina è tornata con l’incanto del suo suono modulato che invita a chiudere gli occhi e a sognare.

Michele Todini, Polifemo che suona una sordellina per Galatea, particolare di una cassa dorata che racchiudeva un clavicembalo italiano. Lo strumento faceva parte della Galleria Armonica di Todini, museo di strumenti musicali a Roma, 1676

Ancora oggi gli zampognari sono i protagonisti delle rappresentazioni presepiali, simboli di devozione e speranza, sono loro che arrivano alla grotta offrendo al Bambino la melodia dei loro strumenti fatti di legno e pelli, così lontani dall’oro dei magi. E forse anche Benino, il pastorello di cui parliamo nell’ultimo numero di Prisma, che la tradizione napoletana vuole dormiente mentre sogna il presepe, è caduto nel sonno
incantato da una zampogna!

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