Con la missione spaziale Artemis I si entra nel futuro!

Finalmente ce l’ha fatta! Annunciata da mesi e sempre rimandata, ora è partita. Lo Space Launch System, il lanciatore alto 98 metri (comunque leggermente più piccolo di Saturno V) e pesante 2.600 tonnellate, ha lasciato la rampa di lancio del Kennedy Space Center per inaugurare la prima delle tre missioni Artemis. Queste culmineranno, se tutto procede come previsto, nel 2025 con l’arrivo sulla Luna di rappresentanti del genere umano. Questa volta, però, non per camminare per poche ore sul suolo polveroso del nostro satellite, ma per restarci.

Lo Space Launch System della Nasa con a bordo la capsula Orion

Sì, perché l’obiettivo del progetto Artemis è proprio quello di iniziare a gettare le prime fondamenta di una base spaziale permanente umana sulla Luna che possa fungere, oltre che da centro ricerche e di sfruttamento economico delle risorse presenti sul satellite, anche da base per le future missioni su Marte. I due astronauti, di cui uno sarà donna, che nel 2025 alluneranno e rimarranno sulla superficie lunare per una settimana cominciando a costruire i primi moduli della Artemis Base Camp, completeranno il primo obiettivo del programma voluto dalla Nasa e che costerà in totale 90 miliardi di dollari.

La missione Artemis I durerà 42 giorni e testerà i sistemi di terra della base Space Kennedy, le prestazioni dello Space Launch System e della capsula Orion, compreso lo scudo termico di cui è dotata, in previsione della successiva missione, l’Artemis II che, a differenza di questa, avrà astronauti a bordo.

Dopo essersi staccata dal primo e dal secondo stadio, la capsula Orion verrà portata in orbita lunare dal modulo di propulsione e di potenza elettrica dell’ESA, l’Agenzia spaziale europea, e “aggancerà” il nostro satellite dopo sei giorni sorvolando la sua superficie ad un’altezza di 97 chilometri. Sfrutterà in seguito la fionda gravitazione lunare per stabilizzare la sua orbita all’interno di quella che viene chiamata Distant Retrograde Orbit (DRO), una fascia di spazio situata a circa 64.000 chilometri dalla Luna che corrisponde ai punti langrangiani, punti in cui le interazioni gravitazionali di Luna e Terra permetteranno all’Orion di rimanere in orbita stabile riducendo il consumo di carburante.

La “mappa” del viaggio di Artemis I

Nella DRO la navicella stazionerà per 14 giorni durante i quali gli scienziati testeranno i sistemi presenti a bordo; Orion abbandonerà poi l’orbita, per avvicinarsi a 800 chilometri dalla Luna e, grazie di nuovo alla fionda gravitazionale, iniziare la fase di rientro sulla Terra, previsto per il 10 ottobre.

Nonostante non vi siano esseri umani, la navicella Orion che lascerà il nostro pianeta il 29 agosto avrà comunque dei passeggeri. Saranno tre manichini; il Comandante della missione, Moonikin Campos, il cui sedile sarà dotato di due sensori per registrare accelerazioni e vibrazioni durante la missione, a cui si accompagneranno Helga e Zohar, due torsi di manichino fabbricati con materiali plastici a differente densità che simulano le ossa dello scheletro umano, i tessuti molli e gli organi di una femmina adulta.

Moonikin Campos, il cui nome è un omaggio ad Arturo Campos, l’ingegnere elettrico grazie al quale i tre astronauti dell’Apollo 13 riuscirono a tornare sani e salvi sulla Terra, sarà anche dotato di una tuta identica a quella che verrà utilizzata dagli astronauti delle successive missioni e dotata di sensori di radiazioni.

Invece, mentre Helga sarà “nuda”, senza alcun vestito, Zohar sarà protetta da un giubbotto AstroRad per schermare il corpo umano dalle radiazioni. Dato che gli organi femminili sono più vulnerabili alle radiazioni di quanto lo siano quelli maschili, a bordo della Orion si è predisposto l’esperimento tedesco-israeliano MARE (Matroshka AstroRad Radiation Experiment) che grazie a sedici misuratori di radiazione monitorerà i livelli di radiazioni in continuo durante l’intera durata del volo, mentre altri 10.000 sensori verranno esaminati al rientro dei manichini dalla missione. Durante i voli spaziali gli astronauti sono esposti a livelli di radiazioni tra le 50 e le 150 volte quelle normalmente presenti sulla Terra.

Ma Artemis I non avrà solo il compito di testare i sistemi e i vettori per le prossime missioni Artemis; all’interno del secondo stadio del missile, l’Interim Cryogenic Propulsion Stage, si trovano anche dieci microsatelliti, i CubeSats, tra cui ArgoMoon, realizzato dalla Argotec, azienda aerospaziale di Torino. Compito di ArgoMoon sarà quello di riprendere le operazioni dello Space Launch System, che non sarà in grado di inviare segnali alla base di lancio durante il rilascio dei CubeSat.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dimensione massima del file: 50MB Formati consentiti: jpg, gif, png Drop file here