Mariannina Ciccone – La tigre dimenticata

Mariannina Ciccone fa parte della folta schiera di importanti donne siciliane colpite dalla damnatio memoriae. Nasce a Noto il 29 agosto del 1891 da Giuseppina Mirmina e da Corrado in una famiglia di discrete condizioni economiche, e nel 1910 si diploma presso la Regia Scuola Normale della sua città. Con una scelta sicuramente non usuale per una ragazza di quel tempo, si iscrive al terz’anno dell’Istituto tecnico Archimede di Modica nella sezione fisico-matematica. Sarà l’unica alunna in una classe di ragazzi.

Dopo il diploma, nel 1914 si iscrive al corso di laurea in Matematica alla Sapienza a Roma, ma al secondo anno si trasferisce a Pisa dove otterrà la laurea il 22 marzo 1919 con 110 su 110, discutendo una tesi di geometria algebrica. Non si ferma e il 18 dicembre 1924 si laurea in fisica con una tesi dal titolo Saggio di applicazione del metodo di Ronchi per lo studio dei sistemi ottici degli obiettivi microscopici e una prova pratica di “Fotografie di spettri magnetici”.

Inizia così la sua carriera di docente presso l’Istituto di fisica della Normale e nel 1931 ottiene la promozione ad “aiuto di ruolo” su proposta del direttore dell’Istituto di fisica Luigi Puccianti per “la sua lodevole opera didattica e scientifica”. Il suo compenso ammonterà a 500 lire. Non dimentichiamo che, prima degli anni Trenta, nessuna donna aveva ottenuto una carica accademica così alta e le insegnanti percepivano un terzo dello stipendio dei loro colleghi uomini. Del resto si respirava ancora il clima di diversi anni addietro riassunto da un altro siciliano, Giovanni Gentile (al quale sono dedicate innumerevoli vie e alcune scuole), che nel 1918 in una lettera aperta al ministro dell’Istruzione, aveva scritto: “La scuola verrà invasa dalle donne (…) che, bisogna dirlo, non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori intellettuali e morali dell’umanità e devono essere i cardini della scuola formativa dello spirito superiore del Paese”. Incurante del clima misogino che la circonda, Mariannina, che nel frattempo ha perfezionato lo studio delle lingue e parla e scrive correttamente in inglese, francese e tedesco, continua il suo percorso diventando docente di fisica sperimentale e tenendo corsi di spettroscopia. In una lettera inviata da Puccianti al rettore leggiamo che la scienziata possiede “ottima diligenza, moltissima operosità e condotta irreprensibile”. Diventa un’eccellente ricercatrice, autrice di molti articoli e testi, compresi una Introduzione allo studio della fisica atomica e molecolare e un manuale con le sue Lezioni di Spettroscopia. Il suo valore viene sottolineato dagli incarichi prestigiosi che all’estero le vengono assegnati e dai premi che le vengono conferiti. Basterebbe questa presentazione per riportare alla luce un’importante fisica e matematica vissuta in tempi difficili che oggi quasi nessuno conosce. Ma Mariannina Ciccone è stata anche protagonista di un episodio eroico durante la seconda guerra mondiale su cui oggi, grazie anche alle ricerche di Marco Piccolino, sappiamo qualcosa di più. L’otto settembre del 1944, a Pisa gli anglo-americani erano da una parte dell’Arno mentre i tedeschi stazionavano dall’altra parte del fiume, impegnati a far saltare ponti, distruggere strade, catturare prigionieri e depredare beni.

Uno degli obiettivi era proprio rubare i libri e la strumentazione scientifica dell’università di Pisa, dove l’unica docente coraggiosa rimasta era proprio Mariannina. Dopo aver bombardato un’ala dell’edificio, i soldati tedeschi iniziarono a portar via i migliori strumenti ottici. Mariannina non si fece intimorire dalla loro spavalderia e gli si avventò contro come una furia gridando, in tedesco, che per portarsi via quei beni avrebbero dovuta ucciderla. Sorpresi da questa audacia femminile, cambiarono idea e così si salvarono tra le tante cose un echelon di Michelson e un reticolo di diffrazione con l’autografo di Rowland.

Il 7 ottobre del 1944, con Pisa ormai liberata, il rettore Luigi Russo la ringraziò pubblicamente e le conferì un encomio per il suo atto coraggioso che aveva protetto gli interessi dell’Istituito e dell’Università “anche quando il suo fermo contegno avrebbe potuto cagionarle serie conseguenze”. Nel 2015, alcuni giornali toscani che recuperarono questa storia, la definirono “la tigre che fermò i nazisti” e la sua città natale, su iniziativa della Fidapa locale, ha apposto una targa commemorativa sul prospetto della sua abitazione. Ma ancora oggi nessuna via della città netina e nessuna strada della città di Pisa la ricorda.

 

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