Dispersa nel Pacifico in una difficile navigazione intorno al mondo, Amelia Earhart (1897–1937) è uno dei personaggi femminili più emblematici. Donna di grandissimo fascino, intraprendenza e capacità, ha segnato un’epoca affiancando o anche superando per notorietà il celebrato Charles Lindbergh. Capace di apparire sporca di olio di motore e vestita come un “ragazzaccio” vicino agli aerei così come in abiti raffinatissimi e in pose da mannequin, stimata in ogni ambiente, è stata in contatto con le maggiori personalità dell’epoca, inclusi due presidenti degli Stati Uniti, e si è impegnata attivamente per la difesa dei diritti della donna. Parlarne significa non solo ricordarla per le sue avventure ma anche fare un’escursione di carattere scientifico-tecnico nel mondo della navigazione aerea, quale era prima del recente e rivoluzionario avvento del Gps. Le dobbiamo il primo attraversamento dell’Atlantico in solitario compiuto da una donna, concluso, come lei stessa ricorda, in modo non troppo roboante: «Dopo aver spaventato la maggior parte delle mucche nel vicinato mi sono fermata nel cortile di un contadino».
Poi decise di cimentarsi in un’impresa davvero epica: la circumnavigazione del globo.
Partita dalla California in direzione est il primo giugno 1937 sul bimotore Lockheed Electra, attraversò continenti e mari fino alla Nuova Guinea, pronta ad affrontare l’ultima tappa di 11 000 miglia che l’avrebbe riportata in America. Aveva programmato di attraversare il Pacifico facendo sosta per rifornimento prima nell’isolotto di Howland e poi alle Hawaii, dove era già stata con il suo aereo nel 1935. Nell’isolotto sperduto, lungo 2 km, la marina degli Stati Uniti aveva fatto approdare la nave Itasca con rifornimento di carburante e assistenza radio.
Il 2 luglio 1937 Amelia, con il suo navigatore Greg Noonan, parte dunque da Lae, Nuova Guinea. È previsto che la navigazione sia compiuta con una combinazione di tecniche: quella stimata, quella astronomica e quella radioguidata, ma in realtà il volo sarà condotto essenzialmente con il metodo della navigazione stimata, con periodici controlli della posizione con metodi astronomici e nella parte finale, almeno nelle intenzioni, grazie a un sistema di radioguida. Infatti sull’Itasca ci sono una stazione emittente (radiofaro) e un apparato (il direction finder o Df) capace di rilevare la direzione di provenienza dei segnali radio emessi dalla stazione dell’aereo. Anche l’aereo è dotato di un apparato Df, che può stabilire la direzione dei segnali del radiofaro dell’Itasca e quindi definire la rotta da tenere per arrivare a destinazione. La posizione lungo la maggior parte della rotta, ovviamente priva di radiofari, è periodicamente controllata con metodi astronomici, ovvero con uno speciale sestante aeronautico, che permette, grazie alla misura di altezza di astri sull’orizzonte, di tracciare sulla carta le linee di posizione celesti, il cui incrocio rappresenta il punto-nave. Ma ciò è pratico solo di notte. Di giorno, soltanto il Sole è visibile e il procedimento, con il rilevamento di un solo oggetto celeste, diventa molto più complesso: l’errore di un primo di grado dà posizioni sbagliate di decine di miglia e la misura di altezza dell’astro sull’orizzonte è eseguita da un mezzo – l’aereo, ma vale anche per le navi – che si muove nell’aria con continue leggere variazioni di assetto e sobbalzi. Amelia e Noonan non sono aiutati nemmeno dal vento contrario sulla rotta, che allunga i tempi del volo e li fa giungere nell’ultima parte del percorso in pieno giorno, quando la navigazione astronomica, di elevata precisione, non è più praticabile. A loro favore dovrebbe giocare il fatto che era stato previsto l’avvicinamento finale all’isola con l’assistenza radio della nave Itasca. I segnali emessi dal radiofaro della nave potevano essere ricevuti dalla stazione Df dell’aereo e le comunicazioni radio o morse dell’aereo dalla stazione Df dell’Itasca. Entrambe le stazioni potevano quindi, in teoria, determinare la direzione di provenienza dei segnali grazie al proprio direction finder, così da permettere a Noonan di determinare la rotta per arrivare all’isola. Ma destino vuole che lo strumento dell’Electra risulti danneggiato e che la stazione radio dell’Itasca funzioni male. Risultato:
di Amelia, di Noonan e dell’aereo non si ha più traccia. Sulla nave hanno sì captato qualche debole comunicazione radio dei due, non sufficiente però a determinare la direzione dei segnali. Certo di riuscire a rilevare il radiofaro della nave o di essere rilevato dal Df di Itasca per essere radioguidati all’isola, lo sfortunato equipaggio non utilizza l’antica tecnica del “fuori rotta volontario” adottata dai Polinesiani per trovare con le loro piroghe le isole nell’immensità del Pacifico e dai navigatori di tutte le epoche. Il principio è semplice: se puntiamo alla destinazione e questa al momento previsto non si presenta alla vista, non sapremo mai se siamo andati fuori rotta a sinistra o a destra e la ricerca diventa lunga e complessa. Se invece scegliamo volutamente un “fuori rotta” da una delle due parti, il percorso si allunga leggermente ma nel momento in cui pensiamo di essere vicini alla destinazione dobbiamo cercarla solo da una parte.
Alla scomparsa di Amelia, che provoca un clamore immenso, segue un grandioso dispiego di forze navali per le ricerche, ordinato dallo stesso presidente degli Stati Uniti, ma non si trova nulla. Le ipotesi sulla fine di Amelia vanno da un ammaraggio forzato per esaurimento del carburante, seguito dall’affondamento dell’aereo, all’atterraggio su un’isola controllata dai giapponesi e una conseguente esecuzione dell’equipaggio come spie fino all’arrivo su un’isola deserta e morte per fame, per citarne solo alcune.
In ogni caso il mito resiste e anzi si rafforza nel tempo. Il ricordo di questa donna gagliarda non morirà mai.