Stile libero – L’Esame è ancora di Stato?

La notte prima degli esami, romanticamente evocata in film adolescenziali. Il vestito buono tirato fuori dall’armadio, almeno per chi non si è emancipato dal dress code. La certezza ripetuta sottovoce da tutti che tanto non si boccia, perché il 99,7% degli ammessi nel 2019 è stato promosso.
Molto più temibili sono i test di ammissione all’università, dai quali dipenderà realmente il percorso futuro dei ragazzi. E sui quali il voto di maturità non ha alcun peso. Venne proposto da un ministro, quindici anni fa, che il voto del diploma diventasse una componente nelle selezioni di ammissione all’università, ma fu escluso parendo che la disparità nella valutazione, fra aree geografiche, fosse troppo marcata.
Una ricerca pubblicata da poco dalla Fondazione Agnelli (L’esame di maturità e le prove Invalsi, Falzetti e Martini) sostiene che non si tratta solo di una sensazione, ma che c’è un preciso gradiente nord-sud nella divaricazione fra prove Invalsi e voti di maturità.
Anche non considerando gli ultimi due anni (come il presente a regime speciale), l’esame di maturità, rinominato Esame di Stato da Berlinguer, ha visto un progressivo restringersi della prova da nazionale a valenza locale. Pur assegnando un titolo dotato di valore legale, l’esame resta consegnato a commissari interni o territoriali, mentre nessuna parte dell’esame è costituita da prove oggettive. Nella sua origine gentiliana, l’esame era affidato a commissari esterni provenienti da territori diversi e quindi abituati a standard di prestazioni differenti. Poi si è, passo dopo passo, scivolati verso l’attuale configurazione: commissari interni e vicini, temi nazionali ma correzioni ampiamente variabili.
La cosa interessante è che il voto finale è generalmente in linea con la componente dovuta ai crediti scolastici. Se le due prove scritte oscillano, la prova orale tende a riportare il profilo del candidato verso un voto finale che corrisponde ai voti del percorso scolastico compiuto.
Ma a parità di voti finali dell’Esame di Stato corrispondono valori medi molto differenti nelle prove Invalsi, relative agli stessi soggetti. Il punteggio Invalsi che nelle macro-regioni Sud-Isole corrisponde alla fascia cui è attribuito il voto massimo (96-100), al Nord corrisponde a un voto medio tra 76 e 80. Se si raffronta la sola prima prova di maturità di italiano con la prova di lettura di Invalsi, si vede una discrepanza media notevole: le insufficienze del Nord (punti inferiori a 12) corrispondono alla fascia 16-17 al Sud. È comprensibile e saggio che le valutazioni scolastiche siano in parte normalizzate sul tipo di utenza che una classe concretamente comprende. Quello che non ha alcun senso è attribuire un valore di carattere nazionale, e per giunta legale, a un esame che ha una così marcata variabilità nel rapporto fra aree geografiche e risultati.

 

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