Più caldo e povero, il cambiamento climatico modifica il mare

Sfruttare strumenti informatici avanzati quali intelligenza artificiale, machine learning, rete neurale artificiale e programmazione genetica per analizzare la gran quantità di dati raccolti durante i 27 anni, dal 1990 al 2016, trascorsi nel Mar dei Sargassi dal Bermuda Institute of Ocean Sciences. È l’idea alla base di uno studio internazionale coordinato da due ricercatori campani, l’ecologo marino Domenico D’Alelio della stazione zoologica “Anton Dohrn” di Napoli e Salvatore Rampone, informatico e docente all’università del Sannio, e di cui ha dato notizia lo scorso febbraio la rivista Scientific Reports.

I risultati hanno mostrato un legame tra l’aumento della temperatura dell’acqua e la diminuzione della produttività primaria netta, un indicatore del livello di attività fotosintetica delle microalghe planctoniche, fortemente legato alla disponibilità di risorse primarie come i nutrienti e l’energia luminosa.

Il fitoplancton è tra le componenti biologiche più importanti dei mari perché regola i cicli biogeochimici globali. Ad esempio, produce parte dell’ossigeno del pianeta e sta alla base della catena alimentare marina. Si ipotizza che il riscaldamento globale, alterando il metabolismo fotosintetico e modificando l’ambiente fisico, riduca la produzione di fitoplancton. Finora, tuttavia, mancava la prova definitiva a causa dei pochi dati disponibili. Alcuni studi sembravano poi indicare una tendenza opposta. Questo studio, invece, ha mostrato che un aumento della temperatura di soli 0,021°C all’anno coincide con una diminuzione annua della produttività di fitoplancton di 5,6 milligrammi per unità elementare di volume. In pratica, l’aumento della temperatura dell’acqua ha modificato le correnti verticali marine e quindi la fotosintesi acquatica, riducendo la fertilità del mare in superficie. Fondamentale, in questo studio, è stato il ruolo dell’intelligenza artificiale perché sono state usate diverse tecniche grazie alle quali i software hanno prodotto in maniera autonoma e progressiva predizioni sempre più affidabili dei meccanismi causa-effetto tra i fenomeni osservati. Oltre all’aspetto ambientale, studi di questo tipo forniscono indirettamente preziose indicazioni anche per quanto riguarda le ricadute economiche dei fenomeni, rendendo così più efficienti attività come la pesca. Non a caso, la zona in cui è stato condotto lo studio è il Mar dei Sargassi, tra le grandi Antille e le Azzorre, luogo in cui si riproducono le anguille, una specie ittica dal grande valore commerciale ma in costante declino: un fenomeno negativo non solo per l’ecosistema marino ma anche per l’economia. Come ricordano gli autori, infatti, gli esemplari che si trovano in Italia nascono laggiù e giungono fino a noi dove poi sono catturati. Una diminuzione del plancton nel Mar dei Sargassi può dunque essere una delle cause principali della mortalità di larve di anguilla e quindi del declino della popolazione di questi animali e dell’economia a loro associata. In definitiva, abbiamo non solo un’ulteriore conferma di quanto gli ecosistemi della Terra siano estremamente delicati e interconnessi, ma anche una maggiore evidenza di come sia urgente associare il monitoraggio oceanico a lungo termine dei processi biologici chiave a quello a breve termine, perché solo rafforzando la comprensione del passato è possibile prevedere (e quindi salvaguardare) il futuro degli oceani.

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