Fino a qualche decennio fa, nelle principali orchestre statunitensi la presenza delle donne era irrilevante. Eppure
avvenivano regolari selezioni con audizioni pubbliche. A partire dalla Boston Symphony Orchestra fu introdotto uno schermo visivo fra la commissione e il candidato o la candidata. Fu così che il numero delle ammissioni femminili cominciò a crescere fino a raggiungere numeri decisamente più importanti.
Due economiste americane (Goldin e Rouse) hanno scritto un articolo nel 2000 che racconta come l’uso dello schermo abbia molto aumentato le possibilità per le musiciste di essere ammesse ad un’orchestra. Dimostrando così che c’era un ostacolo alla loro carriera orchestrale che non aveva nulla a che fare con le loro capacità musicali.
Nelle prove Ocse-Pisa del 2018 il gap di genere in Italia per la matematica è stato di 5 punti più accentuato della media degli altri Paesi Ocse a sfavore delle ragazze. Questo significa che ci sono dei fattori variabili da Paese a Paese, probabilmente imputabili al contesto educativo e culturale e non intrinseci, che incidono sulla propensione o sulle capacità messe in gioco dalla matematica e che influenzano i risultati delle prove.
Certo, non si può tenere dietro uno schermo una ragazzina durante gli anni della scuola, e neppure la si può schermare dalle aspettative e dallo sguardo della sua famiglia, degli insegnanti e del suo contesto. Ma sarebbe interessante se si potesse dimostrare in qualche modo come il gap fra potenzialità e risultato nelle prestazioni di una donna dipenda anche dallo sguardo con cui la si è guardata.
Quali aspettative, quali stimoli proposti nella tessitura quotidiana delle relazioni familiari e scolastiche hanno sollecitato il modo delle bambine e poi delle ragazze di pensarsi adatte a sviluppare competenze scientifiche e matematiche?
Altre ricerche hanno evidenziato come il fatto di essere individuabili, tramite il nome, come appartenenti a certi gruppi piuttosto che ad altri (minoranze etniche) o a provenienze geografiche differenti, incida pesantemente sia
sulla probabilità di ottenere attenzione quando si invia il proprio curriculum sia su quella di ottenere un colloquio di lavoro.
In questo momento in cui una giusta e corale gara di solidarietà abbraccia i profughi dell’Ucraina viene da pensare che ci vorrebbe uno schermo anche fra chi fugge da guerre, fame, miseria e coloro a cui viene chiesto aiuto. Uno schermo che faccia velo del colore della pelle e della provenienza, per lasciare parlare solamente il bisogno di solidarietà e di aiuto.
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