La ragazza di Bletchley

Bletchley Park è stato negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso il posto dove Alan Turing e i suoi collaboratori hanno costruito la risposta alleata ai codici segreti con cui i nazisti proteggevano le loro comunicazioni militari. Il posto dove si lavorava alla “Bomba”, la macchina calcolatrice che sarebbe stata lo strumento del successo: era stata costruita a partire da quella con cui già nel 1932 il matematico polacco Marian Rejewski aveva decifrato i messaggi prodotti da una versione precedente della tedesca Enigma. In certi periodi vi hanno lavorato fino a diecimila persone, per lo più donne, ma per lungo tempo la storia dell’impresa è rimasta coperta dal segreto militare: gli impiegati, le impiegate, i ricercatori, le ricercatrici si erano impegnati a dimenticare d’avervi mai lavorato. Poi finalmente si è cominciato a fare un po’ di luce, almeno sulle figure maschili. Quanto al personale femminile, ancora nel 1983, la biografia di Alan Turing scritta da Andrew Hodges gli dedicava solo qualche rapido cenno. Eppure si trattava dell’80% del personale impiegato a Bletchley Park (ben più della classica metà del cielo…) e le donne non erano state solo “ausiliarie” che non sapevano quello che stavano facendo se è vero che è stata una di loro, Mavis Lever, a decifrare per prima i messaggi della marina italiana.

C’erano anche delle matematiche a Bletchley Park e in questi mesi il Covid-19 ha costretto tutti a ricordarsene. Il virus, infatti, l’11 maggio scorso si è portato via Ann Williamson Mitchell, una delle migliori.

Nata a Oxford nel 1922, a diciott’anni era stata una delle cinque ragazze ammesse a frequentare il corso di matematica nell’università della sua città, dove si era laureata a tempo di record nonostante i pregiudizi che ostacolavano la presenza femminile nelle facoltà scientifiche: “La mia direttrice disse con fermezza ai miei genitori che la matematica non era una materia femminile”, avrebbe commentato più tardi. Fu presto selezionata per entrare a Bletchley Park. Assunta a tempo determinato presso l’Ufficio degli Affari Esteri e del Commonwealth con uno stipendio annuo di 150 sterline, aumentato a 200 sterline dopo il suo ventunesimo compleanno, ogni giorno doveva farsi in bicicletta 10 miglia e reggersi in piedi, fino al turno di notte, solo con una tazza di caffè e un uovo sodo.

Fino al maggio del ’45 lavorò nella capanna n. 6 con la squadra che doveva decifrare i messaggi in codice dell’aeronautica e dell’esercito tedesco, ma dopo la guerra non raccontò nulla del suo contributo alla vittoria sul nazismo, neppure a John Mitchell che aveva sposato nel 1948.

Negli anni Cinquanta lavorò come consulente di orientamento al matrimonio per il Consiglio scozzese, il Relate Scotland. Poi tornò all’università per studiare politica sociale e nel 1980 si laureò con un Master of Philosophy presso l’università di Edimburgo. Diventata ricercatrice associata presso il Dipartimento di amministrazione sociale della stessa università, cominciò a scrivere alcuni saggi sugli effetti psicologici che il divorzio dei genitori ha sui bambini. Le sue valutazioni trovarono un riscontro non solo accademico e contribuirono addirittura a modificare la legge scozzese sul divorzio.

Una volta che il segreto sul lavoro a Bletchley Park fu revocato, Ann rilasciò molte interviste sul suo ruolo durante la guerra. La sua storia ora è inclusa nel libro The Bletchley Girls. War, Secrecy, Love and Loss: The Women of Bletchley Park Tell Their Story (2015) della storica Tessa Dunlop, che di lei ha detto: “Il suo era un talento raro. Era dotata di grande empatia e allo stesso tempo di straordinaria acutezza”.

Dal canto suo, James Turing, pronipote di Alan, ha sottolineato che anche la scarsa documentazione rimasta dell’attività a Bletchey lascia comunque intendere come le mansioni e le esperienze di Ann siano state molto simili a quelle del suo geniale prozio. Finalmente, nel 2008, le è stato ufficialmente riconosciuto il merito di aver contribuito a decodificare il codice segreto.

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