La matematica che serviva ad Einstein

Può accadere di vivere un’intera carriera scientifica, certamente brillante, senza però mai ottenere un riconoscimento ufficiale. Anzi, peggio, si può essere “bocciati” per ben due volte (1887 e 1901) all’ambito “Premio Reale” dell’Accademia dei Lincei, nonostante l’importanza del proprio lavoro.
È quello che è accaduto al matematico che, con la sua analisi tensoriale, più di ogni altro ha permesso ad Albert Einstein di formulare la relatività generale: Gregorio Ricci Curbastro. Con grande onestà, lo stesso Einstein scrisse che non sarebbe mai riuscito a superare la teoria della gravità di Newton senza l’aiuto dei matematici che lo avevano preceduto nell’esplorazione (così possiamo subito sfatare l’idea di genio solitario che in tanti, ancora oggi, hanno di Einstein). Uomo dal carattere introverso e schivo, Gregorio Ricci Curbastro era nato il 12 gennaio 1853 a Lugo di Romagna, in provincia di Ravenna, in una famiglia tra le più antiche e nobili della città, con un’intensa fede religiosa che avrebbe caratterizzato tutta la sua vita. Immerso in un ambiente particolarmente predisposto allo studio della matematica e della scienza, aveva compiuto gli studi elementari e superiori con l’aiuto di insegnanti privati, com’era tradizione di famiglia. Nel 1869 si era iscritto al corso filosofico-matematico dell’allora Pontificia università della Sapienza a Roma, ma la guerra per la liberazione dei territori dello Stato Pontificio lo costringe a tornare a Lugo finché nel 1872 potrà trasferirsi all’università di Bologna e, l’anno successivo, essere ammesso alla Normale di Pisa. Qui ha tra i suoi docenti alcuni fra i più importanti matematici italiani del tempo: Ulisse Dini, Ernesto Padova e, per i corsi di fisica matematica, astronomia e meccanica celeste, Enrico Betti. Dopo essersi laureato in scienze matematiche e fisiche nel 1875, grazie a una borsa di studio può rimanere ancora un anno a Pisa, per seguire i corsi di perfezionamento di Dini e Betti. È proprio tramite Betti che ha modo di conoscere e studiare le teorie fisiche d’avanguardia e poi di pubblicare quelle che saranno le sue prime “Memorie” scientifiche.

A PADOVA

Tra il 1877 e il 1878 frequenta a Monaco di Baviera i corsi di Felix Klein; due anni dopo vince il concorso a professore straordinario di fisica matematica all’università di Padova. Da questo momento si occupa pressoché in modo esclusivo dei metodi matematici per la fisica. La sua attività di ricerca si inserisce nel filone avviato qualche decennio prima da Carl Friedrich Gauss e Bernhard Riemann: lo studio della geometria differenziale di generici spazi con dimensioni arbitrarie (Riemann li aveva chiamate varietà). Cerchiamo di capire che cos’è una varietà. I primi esempi sono molto semplici: le curve nel piano o nello spazio sono una varietà (di dimensione 1), così come le superfici che però hanno dimensione 2. Una curva ha dimensione 1 perché è possibile individuare un punto su di essa con un solo numero (per esempio la distanza da un determinato punto); per descrivere un punto su una superficie servono invece due numeri (pensiamo al reticolo geografico sulla superficie terrestre e alla latitudine e longitudine). Possiamo allora immaginare oggetti (le varietà) i cui punti sono individuati da 3, 4, …, 20, 1 000,… numeri, le coordinate del punto, e dire che si tratta di varietà di dimensioni rispettive 3, 4, …, 20, …, 1000. Ovviamente non è facile visualizzare neppure mentalmente tali oggetti; non possiamo rappresentare, per esempio, un oggetto con 4 dimensioni nel nostro spazio tridimensionale così come facciamo fatica a visualizzare lo spazio-tempo di Einstein, che è una varietà di dimensione 4: tre dimensioni spaziali più una temporale. Il problema principale che Ricci Curbastro affronta è quello di studiare la curvatura di una varietà: come e quanto una varietà si discosta da un piano? Per descrivere completamente la curvatura di una varietà, il matematico introduce il concetto di tensore, la naturale generalizzazione del concetto di vettore, che egli stesso definisce come “un insieme di funzioni matematiche (le componenti del tensore) che si trasformano al variare delle coordinate secondo leggi precise”. I tensori sono oggetti matematici difficili da manipolare, ma Ricci riesce a dimostrare che i tensori che descrivono una varietà cambiano con la scelta di un diverso sistema di individuazione dei suoi punti (siamo abituati a chiamarlo sistema di coordinate), ma le loro relazioni non cambiano: ecco il calcolo differenziale assoluto (o tensoriale). L’analisi tensoriale consente di fare calcoli su un generico spazio curvo e scrivere equazioni che godono della proprietà di restare invariate in seguito a un qualsiasi cambiamento delle coordinate dello spazio in cui si opera ovvero, in termini fisici, del sistema di riferimento. Per questo diventa superfluo, se non per qualche particolare finalità, riferirsi a un sistema di coordinate piuttosto che a un altro. Anzi, l’invarianza delle equazioni tensoriali permette di scegliere le variabili (coordinate) nella maniera più opportuna. Il mezzo per assicurare l’invarianza delle relazioni tra tensori è la derivata covariante, un oggetto che era stato introdotto per la prima volta nel 1869 da Elwin Bruno Christoffel, ma che solo Ricci comprende nelle sue potenzialità. La derivata covariante, necessaria per garantire l’invarianza delle relazioni tensoriali, è dunque una “creazione” del matematico romagnolo che, nel 1890, diventa anche docente di algebra complementare nella sua università. Non è certo un oratore brillante, ma le sue lezioni colpiscono per la vastità e profondità del pensiero. Nell’ambiente padovano che sta vivendo un periodo d’oro per la matematica, con figure di spicco come Giuseppe Veronese e Francesco Severi, due tra i più importanti matematici italiani, incontra un allievo speciale: Tullio Levi-Civita, uno dei protagonisti della “primavera della matematica italiana” nei decenni a cavallo tra Otto e Novecento, un vero e proprio esempio di impegno civile e amore per l’insegnamento (pacifista e fortemente contrario a qualsiasi forma di fascismo e nazionalismo; nel 1938, dopo l’emanazione delle leggi razziali, gli sarà impedito di insegnare, in quanto di origini ebraiche). Laureatosi nel 1894, Levi Civita diventa in breve il suo principale collaboratore, uno dei pochi, all’epoca, a comprendere e sviluppare quel calcolo tensoriale che solo nel 1900, dopo la pubblicazione di un articolo a due nomi sui Mathematische Annalen di Klein, comincia a diffondersi presso i matematici. La pubblicazione rappresenta il vertice della produzione di Ricci Curbastro, ma non gli procura tutti i riconoscimenti che avrebbe meritato (e che in realtà si aspetta ma non si impegna ad ottenere). La stima dei colleghi e della società però non gli manca. Dal 1900 al 1908 è preside della facoltà di scienze; poi, dopo un’analoga esperienza a Lugo, diventa consigliere e assessore alla Pubblica istruzione e alle finanze a Padova. Più volte gli chiedono di diventare sindaco, ma non accetterà per paura di non riuscire a conciliare l’impegno pubblico e la ricerca. Nel gennaio del 1914 muore Bianca Bianchi Azzani, moglie molto amata e madre dei suoi tre figlioli. Profondamente addolorato, Ricci Curbastro non immagina nemmeno lontanamente quello che gli sta per accadere. La relatività generale sta per bussare alla porta della fisica segnando una volta per tutte il destino del suo calcolo differenziale assoluto.

COME TRASFORMARE UN’INTUIZIONE IN UNA TEORIA FISICA

Nel 1907 Albert Einstein è un giovane fisico, senza una posizione accademica, che si guadagna da vivere come impiegato dell’Ufficio brevetti di Berna. Ha però già pubblicato, due anni prima, una serie di lavori che gli daranno notorietà nell’ambiente accademico e un premio Nobel per la Fisica nel 1921. Tra questi, c’erano quelli dedicati alla relatività ristretta che, descrivendo cosa vedono e misurano due osservatori che si muovono uno rispetto all’altro a velocità costante, già hanno scardinato i concetti di spazio e tempo assoluti. Ma non basta. Che cosa accade quando i due osservatori accelerano uno rispetto all’altro? Come lui stesso racconterà anni dopo, la risposta gli viene da “il pensiero più felice della mia vita”: “Stavo seduto in poltrona all’Ufficio brevetti a Berna quando all’improvviso mi ritrovai a pensare che, se una persona cade liberamente, non avverte il proprio peso. Rimasi stupefatto. Questo pensiero, così semplice, mi colpì profondamente, e ne venni sospinto verso una nuova teoria della gravitazione”. Il “pensiero più felice” è il principio di equivalenza tra massa inerziale (quella che si oppone al moto) e massa gravitazionale (quella dovuta all’attrazione della Terra o di qualunque altro corpo materiale). In altri termini, Einstein si accorge che un sistema di riferimento accelerato è localmente equivalente a un sistema di riferimento soggetto alla gravità. La materia definisce la geometria dello spazio-tempo e la geometria determina il moto della materia. Per esempio, la massa del Sole distorce la geometria dello spazio-tempo vicino alla Terra e questa si muove lungo un’ellisse in tale ambiente deformato. La gravità non è quindi una forza, come credeva Newton, ma la manifestazione della geometria dello spazio-tempo. Nel tradurre queste idee in una teoria matematica, Einstein però si trova ad affrontare grossi ostacoli: non ha gli strumenti necessari a formulare le equazioni della relatività generale in maniera che risultino invarianti per arbitrarie trasformazioni di coordinate nello spazio-tempo. Così, nell’agosto del 1912, chiede aiuto all’amico matematico Marcel Grossmann, suo vecchio compagno di studi: “Aiutami, sennò divento pazzo!”. Grossmann gli suggerisce di studiare la geometria sviluppata da Riemann, il cui formalismo permette di descrivere spazi curvi con un numero qualsiasi di dimensioni, e i lavori di Ricci Curbastro e Levi-Civita che consentono di fare calcoli in un generico spazio curvo. Einstein coglie l’importanza di questi suggerimenti e, dopo un periodo di studio molto duro, fa dei tensori lo strumento matematico principale della relatività generale: lo spazio-tempo è una varietà quadridimensionale, le masse dei corpi modificano la curvatura, e la curvatura è la gravità. Levi-Civita contribuisce direttamente alla formulazione della relatività generale con un appassionante scambio epistolare, nella primavera del 1915, con Einstein che, finalmente, riesce a presentare i suoi risultati in un ciclo di lezioni, nel novembre dello stesso anno, all’Accademia prussiana delle scienze di Berlino. Nell’ultima lezione introduce l’equazione fondamentale della relatività generale, scritta nel linguaggio tensoriale, nella quale c’è la relazione diretta tra la curvatura dello spazio-tempo, da un lato, e la materia e l’energia, dall’altro. La nuova teoria non cancella quella di Newton ma la incorpora come caso limite. Quando, nel 1919, la spedizione organizzata da Arthur Eddington conferma la deflessione dei raggi luminosi delle stelle da parte del Sole, Einstein diventa una celebrità mondiale e anche per Ricci Curbastro arrivano i giusti riconoscimenti. Il calcolo differenziale assoluto compare in centinaia di pubblicazioni, diventando uno strumento matematico essenziale per la fisica. I raggi di luce piegati dal Sole hanno fatto “brillare” sia la teoria di Einstein sia, finalmente, la matematica di Ricci Curbastro, grazie alla quale è cambiata per sempre la nostra maniera di concepire l’universo. Il 27 ottobre del 1921 Einstein e Ricci Curbastro si incontrano, per desiderio del primo, in occasione di una conferenza all’università di Padova. È proprio Ricci Curbastro a introdurre Einstein che, parlando in italiano, esprime la grande soddisfazione di poter esporre la sua teoria nella città in cui insegna l’ideatore del calcolo differenziale assoluto. Ricci Curbastro diventa così un matematico conosciuto e ammirato in tutto il mondo ma non si fa troppo coinvolgere dalla notorietà raggiunta. Del resto, come dicevamo all’inizio, il calcolo tensoriale era riuscito a cambiare la nostra lettura del mondo ma non a fargli vincere il Premio Reale, il riconoscimento più prestigioso per un matematico del suo periodo. Muore a Bologna il 6 agosto 1925. La sua vicenda conferma quello che spesso è accaduto nella storia della scienza. Il “genio”, famoso e celebrato da tutti, è solo l’ultimo anello di una catena costruita dal lavoro di matematici e scienziati che lo hanno preceduto.

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