BLOCKCHAIN: Una rivoluzione oltre internet

Blockchain, in italiano “catena di blocchi”. Un concetto, ancora prima che un meccanismo informatico e matematico concreto, che promette di rivoluzionare uno dei fattori alla base dei nostri rapporti quotidiani, che siano economici o di altro tipo: la fiducia. Quella stessa fiducia che oggi assegniamo a enti come banche centrali, istituzioni di certificazione, professionisti accreditati – e che a volte, c’è da dirlo, non viene ripagata a dovere – possiamo già costruirla fra noi. Validando le nostre relazioni (transazioni, certificati, contratti, garanzie) attraverso una rete di computer troppo difficile da controllare per intero e per questo a prova di corruzione. Questo e molto altro, compresi i 180 miliardi di dollari di capitalizzazione delle criptovalute che vi si affidano o il 10% del Pil mondiale che entro il 2027 transiterà da questi meccanismi, ruota intorno alla blockchain. Gian Luca Comandini, classe 1990, è uno dei massimi esperti italiani del tema: laureato in economia, imprenditore e docente alla Sapienza di Roma, ha fondato Assob.it, l’associazione di categoria di chi fa business con queste tecnologie. Lo scorso anno è stato nominato membro della task force del ministero dello Sviluppo economico, un gruppo di esperti che segue gli sviluppi della blockchain per l’economia del Paese.

Che cos’è la blockchain?

È un registro distribuito, decentralizzato e gestito da una rete di computer, ognuno dei quali ne possiede una copia aggiornata simultaneamente. Tutto ciò è garantito dalla sicurezza della crittografia alla base.

A che cosa la paragonerebbe per dare un’immagine chiara a chi è del tutto a digiuno di tecnologia?

Basta immaginare un libro mastro, il registro di un professore o un libro notarile. Quelli sono registri centralizzati dove le informazioni che vi sono inserite vengono riconosciute come valide solo e unicamente se sono immesse dal professore autorizzato o dal notaio certificato, cioè da intermediari fiduciari. La blockchain invece è un registro di questo tipo ma decentralizzato, dove l’informazione può essere inserita da chiunque e deve essere approvata dalla maggioranza dei computer che condividono il registro. In questo caso, un notaio o un professore potrebbero anche sbagliarsi o essere corrotti ma comunque l’informazione “errata” non verrebbe approvata dal resto della rete.

Bitcoin e blockchain sono stati impropriamente usati a lungo come sinonimi: qual è il rapporto preferenziale che li unisce e che lega le criptovalute a quella struttura di base?

Si è trattato di un errore enorme: la blockchain è la tecnologia alla base, mentre Bitcoin è il protocollo crittografico che utilizza la tecnologia blockchain per gestire e registrare transazioni della criptovaluta bitcoin (con la b minuscola in questo caso). In poche parole, Bitcoin è la prima e attualmente più importante e conosciuta applicazione della tecnologia blockchain.

Non tutte le criptovalute, però, sono davvero decentralizzate, è corretto? Quelle “di Stato”, come quella cinese e il test svedese della “corona digitale”, come si pongono in questo senso? E la futura Libra di Facebook?

Dato il successo e la diffusione delle criptovalute e del bitcoin, tutti hanno provato o stanno provando a creare la propria infrastruttura che spesso però non ha nulla a che vedere con sistemi decentralizzati né con la tecnologia blockchain. Libra di Facebook, ad esempio, ammesso che riesca veramente ad essere lanciata, è un asset valutario centralizzato, gestito da un consorzio di aziende private con sede in Svizzera. Quindi ciò che di più lontano possa esserci dal concetto di trasparenza e decentralizzazione portato avanti dalla blockchain. Però Facebook, come tanti altri, sta sfruttando il successo mediatico di Bitcoin per lanciare le proprie valute digitali centralizzate.

Quanti tipi di blockchain possono esistere?

Di base, le blockchain possono derivare da due macro categorie: permissionless e permissioned. Le prime sono quelle realmente decentralizzate e pubbliche, in cui la governance è paritaria e distribuita tra tutti i nodi della rete (ad esempio Bitcoin ed Ethereum). Mentre nelle blockchain permissioned la governance è definita da chi le crea. Serve, dunque, un “permesso” per poter far parte della rete o per divenire uno dei nodi validatori delle informazioni contenute nella rete stessa.

Non solo criptovalute: in che modo la tecnologia blockchain può ribaltare altri ambiti economici e quali sono i più promettenti? Quale effetto può avere sul Pil mondiale?

I più importanti analisti al mondo stimano che la blockchain ingloberà il 10% del Pil mondiale entro 10 anni. Stime che ci fanno capire come in realtà questa tecnologia possa davvero cambiare gli equilibri mondiali, esattamente come successe con Internet, tecnologia prima snobbata e poi accettata e sfruttata in tutto il mondo. Sicuramente una delle applicazioni più ricche di potenzialità della blockchain è lo “smart contract”, la possibilità di creare e automatizzare accordi tra due parti senza il bisogno di un intermediario fiduciario, spesso costoso e lento, e soprattutto con la certezza di esecuzione dell’azione prevista dal contratto. Di questo e tanto altro si discuterà proprio in uno degli eventi europei più importanti del settore che si terrà a Roma a luglio: la Blockchain Week Rome.

Quali settori stanno investendo di più su questo fronte?

Uno dei principali settori è quello finanziario. Basta pensare alle migliaia di criptovalute che sono nate e alle banche e alle multinazionali che stanno creando la propria criptovaluta o stanno utilizzando criptovalute più note. Ripple, ad esempio, è a tutti gli effetti la “moneta delle banche”. Altri settori strategici importantissimi sono quello sanitario, quello assicurativo e quello dei diritti, in cui Siae ad ora è leader mondiale con un incredibile progetto blockchain che punta veramente a rivoluzionare il settore dei diritti d’autore nei prossimi anni. Nessuno è arrivato così avanti come loro.

Tornando per un attimo alle criptovalute: quali sono le regole da seguire per un investimento sicuro in Bitcoin, a prova di truffe?

Affidarsi solo e unicamente a piattaforme regolamentate e sicure come ad esempio Coinbase, Coinbar, Binance o Bitfinex. Investire solo ciò che si è disposti a perdere ed evitare tutte quelle micro criptovalute usate come “esca” che spesso si rivelano truffe enormi. Moltissimi altri consigli li fornisco in un manuale che si chiama Da Zero alla Luna, andato sold-out già pochi giorni dopo l’uscita. Evidentemente il mercato è maturo e vuole saperne sempre di più. Personalmente mi affiderei solo a bitcoin e terrei lì l’investimento per qualche anno senza toccarlo.

Made in Italy e lotta alla contraffazione, eccellenze del cibo italiano. E ancora processi elettorali, database pubblici, trasporti e perfino informazione: non si è forse un po’ esagerato nel disegnare i futuri possibili della blockchain? Davvero rimuovere enti terzi di certificazione può aumentare il livello di sicurezza e tracciabilità?

Gli enti terzi di certificazione, come qualsiasi altro intermediario fiduciario, spesso hanno provocato scandali, truffe e problematiche ingestibili che si sono tradotte in perdita di tempo e denaro per migliaia di cittadini, governi e imprese. Forse dopo 10mila anni è arrivata l’ora di capire che il problema della fiducia umana non può essere aggirato con l’utilizzo di un intermediario fiduciario, umano anch’esso, ma deve essere superato definitivamente con l’utilizzo di sistemi basati su matematica e crittografia in cui il singolo essere umano disonesto non ha potere né di controllo né di manomissione del dato.

E sulle bufale e fake news nell’informazione? C’è un modo perché queste soluzioni possano tornarci utili?

Ci sono moltissimi progetti che utilizzano la blockchain per riconoscere e neutralizzare le fake news. Sicuramente potrà essere un’ottima arma in più per contrastare questo proliferare di mala informazione, anche se dubito possa essere la soluzione finale.

Che cosa faremo fra dieci anni con la blockchain?

La risposta è la stessa che nel 1995 si poteva dare alla domanda “cosa faremo tra dieci anni con Internet?”. Tutto, o niente. Io punto su tutto.

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