Non ci stiamo certo annoiando in questo inizio d’anno, nel bene come nel male. Dopo un febbraio ricco di eventi, ora ci aspetta un marzo carico di aspettative. Se tutto andrà come sembra, il 31 del mese vedrà la fine dello stato d’emergenza legato alla pandemia. Questo, naturalmente, non significa che il virus sia stato battuto ma non possiamo negare che sia un fatto con un fortissimo valore simbolico.
La fine di un’esperienza così totalizzante impone quanto meno una riflessione, che dal nostro punto di vista
riguarda il ruolo che vogliamo assegnare alla scienza. A maggior ragione dopo che sono state molte le voci che in questi ultimi mesi si sono levate ammonendo che dovremo abituarci a queste ondate pandemiche.
Allora, com’è andata? Due sono le risposte a questa domanda. La prima è che, dal punto sociale ed economico, la pandemia ha portato a un aumento preoccupante delle disuguaglianze. Non solo il nostro sistema economico si è trovato impreparato a tutelare i diritti delle persone più vulnerabili ed emarginate, come ha denunciato in un recente report l’Ong Oxfam, ma ha attivamente favorito coloro che erano già estremamente ricchi e potenti.
L’altra risposta che viene da dare, invece, è che poteva andare peggio, se non ci fosse stata la pronta risposta della scienza. La velocità con la quale sono stati prodotti i vaccini ha del prodigioso. Un risultato per nulla scontato, oscurato solo dalle inutili e sterili polemiche che ne hanno accompagnato la diffusione. Ma non solo. Alla luce dei dati riportati nel Rapporto sullo stato di salute dell’Ue, il Servizio sanitario nazionale ha saputo garantire risultati di salute che sono ai primi posti in Europa per durata della vita, proporzione di italiani in buona salute, tasso di mortalità prevenibile, mortalità riconducibile ai servizi sanitari e sopravvivenza dopo diagnosi di tumore.
E ancora, potevamo non saper gestire le informazioni e i dati e abbiamo invece imparato; potevamo non riuscire a staccarci dall’informazione di facciata e abbiamo invece aperto gli occhi, abbiamo cominciato a chiedere che la scuola avvii i ragazzi con calma alla razionalità. Insomma, volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, la lezione della pandemia l’abbiamo in qualche modo interiorizzata.
Ne usciremo più forti? Forse, ma non sta a noi dirlo. Ognuno sarà chiamato a dare risposte, individuali e collettive. Ci aspetta un periodo di transizione, usando un termine molto in voga in questo periodo, dove il ruolo della scienza sarà di vitale importanza. Se non altro nel dettare le priorità. Ci siamo affidati alla scienza perché in preda al panico dell’emergenza. Impariamo a farlo anche nella normalità. Ci servirà a non farci trovare di nuovo impreparati.
Buona lettura!
Vincenzo Mulè | Direttore responsabile