Telefonando sotto la pioggia: come usare le onde emesse dalle reti telefoniche per monitorare le precipitazioni

Le onde emesse dalle reti di telefonia cellulare possono essere usate per monitorare le precipitazioni: in Italia l’esperimento contro il dissesto idrogeologico e lo spreco di acqua

In Italia, 9 Comuni su 10 devono fare i conti con il rischio di frane, alluvioni ed esondazioni: una fragilità che interessa una superficie complessiva di oltre 50.000 chilometri quadrati, pari al 16% del territorio nazionale. Lo dice l’ultimo rapporto sul dissesto idrogeologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale
(Ispra). A esasperare la situazione sono gli eventi climatici estremi come le precipitazioni molto abbondanti, sempre più frequenti in un’Italia che paradossalmente continua ad avere “sete”: all’appello mancano 5 miliardi di metri cubi d’acqua rispetto all’invaso necessario a soddisfare le esigenze del Paese, secondo l’Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (Anbi). Sebbene le precipitazioni riversino in media 300 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, per le carenze infrastrutturali ne viene trattenuto soltanto l’11%.
È evidente la necessità di una migliore gestione del ciclo dell’acqua, a partire da una conoscenza più accurata della quantità e della modalità con cui precipita al suolo.
Quali strumenti utilizzare, allora? Le misurazioni vengono solitamente eseguite con i pluviometri, i radar meteorologici e i meno noti disdrometri, cioè apparecchi che misurano la dimensione e la velocità di caduta delle gocce d’acqua. Sono strumenti, però, non particolarmente adatti alle misurazioni nei territori collinari e montuosi che occupano un terzo del nostro Paese. Restano dunque due possibili soluzioni: ricorrere a modelli meteorologici previsionali oppure tentare la misurazione attraverso delle reti improprie, cioè reti strumentali usate per uno scopo diverso da quello per cui sono state create.
Quelle diffuse in maniera più capillare sono le reti di telefonia mobile, da tempo al centro di diversi studi in Italia e all’estero per la loro capacità di misurare le precipitazioni atmosferiche. Nella telefonia cellulare l’utente accede via radio alla “cella” più vicina, al centro della quale c’è la Stazione radio base (Srb); la frequenza delle onde radio con cui la Srb dialoga con gli utenti è compresa tra 700 MHz e 6 GHz, troppo bassa perché la pioggia induca effetti significativi. Il traffico di dati o voce generato dagli utenti e raccolto dalla Srb viene poi instradato verso la rete fissa, tramite fibra ottica o ponti radio a microonde che operano a frequenze di decine di GHz.
Ebbene, sono queste le onde elettromagnetiche che possono subire un’attenuazione anche importante in presenza di pioggia ed è proprio questa caratteristica che le rende idonee alla valutazione quantitativa dell’intensità di precipitazione. Per sperimentare questo uso delle reti mobili, con l’obiettivo di migliorare la ricostruzione del campo di precipitazione (a tutt’oggi il tallone d’Achille della modellistica idrologica), è nato il progetto Mopram (MOnitoraggio delle Precipitazioni con reti RAdio a Microonde) frutto della collaborazione tra il Politecnico di Milano e l’Istituto di elettronica e di ingegneria dell’informazione e delle telecomunicazioni (Ieiit) del Cnr.
Grazie al supporto di Fondazione Cariplo, è stata già condotta un’attività sperimentale su un vasto territorio di interesse idrogeologico della Lombardia: il bacino idrografico del torrente Mallero in Valmalenco (vicino Sondrio) e l’area compresa tra i fiumi Olona, Seveso e Lambro nelle province di Milano, Monza e Brianza, Varese, Como e Lecco. Lo studio multidisciplinare ha integrato competenze relative alla propagazione delle onde elettromagnetiche e all’analisi dei segnali (di cui si sono occupati Roberto Nebuloni del Cnr e Michele D’Amico del Politecnico) con
aspetti meteorologici ed idrologici sulla risposta dei bacini idrografici, indagati dagli esperti del Politecnico Carlo De Michele e Antonio Ghezzi. Una parte rilevante della ricerca è stata svolta da giovani neolaureati e dottorandi.
I ricercatori hanno elaborato i dati di 250 ponti radio della rete cellulare per stimare l’intensità di precipitazione lungo ogni tratta radio: un compito non facile perché all’attenuazione del segnale radio concorrono, oltre alla pioggia, anche diversi fattori di natura meteo-climatica e tecnica. Inoltre, gli algoritmi di inversione che consentono il passaggio dall’attenuazione in decibel alle precipitazioni in millimetri sono piuttosto complessi.
Un altro aspetto interessante ha riguardato il progetto di algoritmi per ricostruire la distribuzione spaziale della pioggia a terra a partire dai valori di precipitazione su ciascuna tratta. In particolare, è stato sperimentato per la prima volta su dati di misura un algoritmo tomografico, simile a quelli utilizzati per la Tac in campo medico, che considera da varie angolazioni l’attenuazione del raggio emesso valutandolo in base all’assorbimento del mezzo che attraversa. In questo modo è stato possibile ricostruire la geometria 2D del campo di precipitazione che è stata poi inserita in un modello idrologico per valutare l’idrogramma di piena corrispondente, cioè il grafico che traccia l’andamento della portata del fiume in caso di piena.
I risultati di Mopram dimostrano che la rete cellulare permette di raggiungere un’accuratezza comparabile con quella delle reti pluviometriche. In futuro si potrebbe pensare a un sistema integrato di misura che sfrutti i vantaggi di pluviometri, radar e ponti radio in grado di operare su scala regionale o nazionale e di produrre mappe di precipitazione a intervalli di una decina di minuti.
Nelle mani della Protezione civile potrebbe diventare uno strumento prezioso per migliorare le previsioni e la gestione delle emergenze, anche se restano ancora diversi ostacoli da superare come l’assenza di un unico gestore nazionale delle reti mobili e l’accesso ai loro dati che non sono di pubblico dominio.

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