Energia pulita: non lasciamoci ingannare dalle parole!

La crisi climatica e ambientale (attenzione! Sono due aspetti differenti dell’antropizzazione) che da decenni (e non solo dall’era “Greta”) stanno funestando il nostro pianeta, sono tra i temi oggi più discussi nelle tavole rotonde improvvisate sui social media e in quelle, un po’ meno improvvisate, di molti scienziati e istituti politici.

Siamo bombardati da termini fino a pochi anni fa estranei alla maggioranza della popolazione: Global Warming (che è un modo più “trendy” per dire riscaldamento climatico), CO2, gas serra, clima, meteo, rinnovabili e via dicendo.

Tra tutte si è fatto strada un nuovo termine energetico, una sorta di unità di misura qualitativa di un tipo di energia ancora completamente sconosciuto negli ambienti scientifici, ma assai popolare in quelli politici e ambientalisti: energia pulita.

Contrariamente a quanto politici e altri soggetti “interessati” vanno dicendo, è bene mettere in chiaro che non esistono in natura fonti di energia pulita. Chi ci vuole propinare una qualsiasi forma di energia come panacea per guarire i mali del mondo e ripulire l’aria associandola anche a improbabili colori (da verde a blu passando per il giallo o l’arancione) è in malafede o non sa di cosa sta parlando.

Tutte le fonti energetiche, dal nucleare al solare, dall’eolico all’idroelettrico hanno un impatto diretto o indiretto sull’ambiente.

Inoltre, introdurre termini come energia pulita nel linguaggio scientifico comune, oltre che scorretto, è anche pericoloso perché, come accade per la raccolta differenziata, induce l’utente a non autolimitarsi nel consumo, generando una reazione a catena che innesca un meccanismo perverso di utilizzo dell’energia. Se l’energia che utilizzo è pulita e illimitata perché rinnovabile, sprecandola non arreco alcun danno all’ambiente e alla società. In questo caso l’unico freno possibile è il costo, che è comunque un limite molto aleatorio e poco efficace.

Più corretto sarebbe parlare di energia a basso o alto impatto ambientale. Il carbone, ad esempio, è una fonte di energia ad alto impatto ambientale perché il suo utilizzo impatta sul territorio in modo devastante  dalla reperibilità della materia prima alla dismissione degli impianti e per l’intero ciclo di produzione energetica. Per contro, gli impianti fotovoltaici sono fonti energetiche a basso impatto ambientale, perché, pur non producendo inquinanti durante i processi di generazione energetica, hanno comunque un effetto deleterio naturale all’atto della reperibilità delle materie prime con cui vengono prodotti i pannelli, occupano grandi quantità di superficie e lo smaltimento degli impianti non è mai neutrale dal punto di vista ecologico.

Cambiare il vocabolario energetico, introducendo una terminologia più corretta, è uno dei passi essenziali da intraprendere per comprendere appieno il valore di semplici gesti quotidiani, come quello di schiacciare un interruttore per far funzionare un grattugiaformaggio o tenere accese le luci di un edificio pubblico in pieno giorno.

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