I simboli usati per indicare le cifre hanno subito diverse variazioni nel corso dei secoli. La scrittura attuale presenta un curioso legame tra le cifre e i simboli che le rappresentano
Le cifre arabe non sono arabe. Non solo perché gli arabi in realtà le hanno imparate dagli indiani, ma anche perché, in sostanza, quello che hanno preso dall’India e poi trasmesso in Occidente è la numerazione posizionale. È questa, del resto, la cosa più importante: un sistema molto più pratico ed efficiente rispetto ai numeri romani, usati in Europa ancora per quasi tutto il Medioevo.
Ed è proprio nel senso letterale della parola che le cifre che usiamo oggi non sono arabe. Se ne rende conto subito chi si trova nelle strade del Cairo o di Tripoli: le targhe delle automobili sono illeggibili per un europeo, perché i simboli sono diversi. Quelli adottati oggi nell’alfabeto arabo per le cifre da 0 a 9 sono: ٠١٢٣٤٥٦٧٨٩ ed è evidente che solo l’1 e il 9 hanno una certa somiglianza con i simboli che usiamo tutti i giorni. Il fatto è che, dall’India a noi, il loro aspetto è cambiato ripetutamente, nel tempo e nello spazio. La numerazione posizionale è arrivata in Europa intorno all’anno Mille grazie ai contatti con la cultura araba di Spagna (uno dei pionieri è stato il matematico francese Gerberto di Aurillac, poi diventato papa con il nome di Sivestro II). La grande diffusione del “nuovo” sistema risale però al Duecento ed è dovuta al pisano Leonardo Fibonacci, che ne era venuto a conoscenza nel corso dei suoi soggiorni in Algeria. Ora, nella parte occidentale del mondo arabo dell’epoca (comprendente appunto la penisola iberica e buona parte del Nordafrica) i simboli arabi originari si erano modificati ed è da questa variante “regionale” che hanno preso forma quelli a cui siamo abituati. Una forma che, cambiando a sua volta nel tempo, ha portato oggi a una situazione particolare, ossia a un curioso legame fra i numeri da 1 a 9 e i simboli che li rappresentano. In matematica, un elemento importante nella descrizione di una qualsiasi figura è la sua omotopia: una proprietà che, in parole povere, indica se la figura racchiude dei “buchi” (e se sì, quanti), non importa di quale forma o quanto grandi. Per esempio una circonferenza ha un buco (cioè il cerchio al suo interno), così come ne hanno uno i simboli usati per il genere maschile (♂) e femminile (♀). Invece, il simbolo della sterlina £ non ne ha. Il numero di buchi di una figura è una caratteristica molto importante in diversi campi della matematica, soprattutto nel calcolo integrale. Osservando le cifre da 1 a 9, si può notare facilmente che i simboli 1, 2, 3, 5 e 7 non hanno buchi. E sono proprio i numeri che non hanno divisori propri, cioè sono divisibili solo per 1 e per sé stessi. I simboli con un buco rappresentano invece i numeri che si scompongono nel prodotto di due fattori: 4 = 2 ∙ 2; 6 = 2 ∙ 3; 9 = 3 ∙ 3. Infine, l’unico simbolo ad avere due buchi è quello dell’8, che è anche l’unico numero minore di 10 a scomporsi in tre fattori (2 ∙ 2 ∙ 2). In termini più formali, si può indicare con F(n) il numero di fattori in cui si scompone un numero n (considerando che i numeri senza divisori propri hanno un unico fattore maggiore di 1, cioè il numero stesso) e con B(n) il numero di buchi del simbolo che lo rappresenta. Si può allora concludere che F(n) = B(n) + 1. È una coincidenza incredibile, ma sarebbe impossibile con le cifre arabe o indiane originarie. Certo, resta fuori il caso dello zero, ma in algebra, quando si parla di divisibilità e fattorizzazione, lo zero non viene considerato (è divisibile per qualunque numero, e il quoziente è sempre zero). Sta però sorgendo all’orizzonte un altro problema. I simboli che rappresentano le cifre continuano a evolversi anche oggi.
In alcuni Paesi, e segnatamente negli Stati Uniti, sta prendendo piede l’abitudine di rappresentare il numero 4 come appare negli orologi digitali. E questo simbolo non ha buchi. Se questa variante dovesse attecchire in tutto il mondo occidentale (e non si può escludere, visto il peso culturale americano), questa bellissima corrispondenza matematica verrebbe meno: sarebbe un vero peccato. Pensateci, ogni volta che scrivete il numero 4.