Mary Everest Boole: la signora delle Stem

Quando si parla di Mary Everest Boole, generalmente si parte ricordando che era moglie del celebre matematico George Boole, il padre della logica, e nipote di George Everest, il britannico esperto di geodesia al quale è stata dedicata la montagna più alta del mondo. Mary era però molto, molto di più. La tranquilla signora con i capelli raccolti, lo sguardo serio, la penna in mano che ci guarda da una delle poche immagini che abbiamo di lei è autrice di un libro sulla preparazione del bambino alla scienza che, dopo più di 100 anni dalla sua stesura, è pieno di idee attuali tanto che può essere anche oggi fonte di ispirazione o addirittura compagno di lavoro per insegnanti e genitori. Donna formidabile, curiosa ed eclettica, fece della ricerca della verità il filo conduttore della sua vita. È vero: era moglie di e nipote di… e proprio la vicinanza di queste due figure, così come il contatto con molti altri scienziati e pensatori dell’epoca, contribuì alla sua crescita come donna di scienza ma anche come persona dotata di grande spiritualità. Scienza, filosofia e spiritualità sono sempre presenti e connesse nei suoi libri.

Nacque in Gran Bretagna l’11 marzo 1832 ma visse alcuni anni della sua infanzia in Francia, dove si trasferì all’età di 5 anni affinché il padre potesse essere curato da Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia. Durante questo periodo incontrò un personaggio che diventerà importantissimo per lei, Monsieur Déplace, il maestro che le insegnava matematica a casa, privatamente: “Il maestro non mi disse niente, mi fece una serie di domande e mi fece scrivere ogni risposta man mano che la davo e quindi mi fece percepire che la risposta alla questione complicata con la quale avevamo cominciato veniva fuori per conto suo nelle parole scritte da me”. Come lo potremmo chiamare? Insegnamento dinamico? Mary ebbe questo imprinting e lo fece suo. Il metodo di Monsieur Déplace e il continuo e profondo dialogo tra bambino e maestro si ritrovano forti e chiari nei successivi lavori di Mary.

Al rientro in Inghilterra, nel 1843, andò in collegio per un breve periodo e presto cominciò ad aiutare in parrocchia suo padre, il reverendo Thomas R. Everest, copiandone i sermoni. A scuola ci andò quindi poco. La sua famiglia era benestante ma lei non ebbe una vita facile: sarebbe rimasta vedova giovane, con 5 figli a carico, e soprattutto non avrebbe avuto accesso all’istruzione superiore, come avrebbe voluto con tutte le sue forze. Lei stessa racconta della grande delusione che provò sentendo una conversazione tra i genitori: il padre sapeva che Mary avrebbe potuto, per le sue capacità, studiare matematica all’Università di Cambridge, eppure lo sentì dire: “Che cosa può fare una ragazza studiando matematica?”. Del resto le donne non vi erano neanche ammesse!

La giovane Mary si trovò così nella situazione di rinunciare agli studi oppure di formarsi in maniera autonoma… e questo fece. La determinazione non le mancava. Aggiungiamo che si trovò a potersi giovare di una ricchissima rete di contatti costituita dalle persone di scienza, cultura, fede che gravitavano attorno alla sua famiglia di origine e a quello che diventerà suo marito, George Boole. A cominciare dallo zio George Everest, che aveva rap- porti con John Herschel, studioso di matematica, chimica e meccanica celeste, e da Charles Babbage, che è ricordato anche per avere progettato una macchina meccanica, automatica, capace di svolgere calcoli, un primordiale computer. Herschel e Babbage, oltre ad essere due scienziati di prim’ordine, erano dei veri innovatori che si impegnarono per cambiare l’insegnamento della matematica proprio a Cambridge perché era troppo tradizionale e troppo competitivo senza per questo aprire la strada alle nuove ricerche.

Siamo agli inizi dell’Ottocento. La religione occupa un posto importante nelle università e negli ambienti culturali inglesi e il progresso scientifico entra spesso in conflitto con la spiritualità: gli scienziati provano a contrastare l’eccessiva rigidità del dogmatismo ecclesiastico e la religione si trova a dover fare i conti con il progresso scientifico. Mary, che è al contempo persona di grande fede e spiritualità e promotrice di un sano atteggiamento scientifico, conosceva bene la questione e non cercò mai di sfuggire al confronto su questo tema. La sua attitudine alla trascendenza era forte tanto quanto il suo atteggiamento scientifico e riuscì a fare dialogare l’anima religiosa con quella scientifica, senza contrapporle in maniera distruttiva. L’ambiente familiare le fornì i giusti stimoli anche su questo: il padre, da sempre pronto al confronto, si interessò del pensiero religioso indiano e dell’ebraismo e suo marito sarà comunque interessato alla dimensione spirituale, anche se non avrebbe aderito ufficialmente ad alcuna religione codificata.

Il 13 dicembre 1866, due anni dopo la morte del ma- rito, Mary scriverà una lettera a Charles Darwin in cui esporrà la sua visione olistica secondo la quale il processo di conoscenza dell’uomo è legato a Dio in quanto Creatore: “La Scienza deve prendere la sua strada e la Teologia la sua. Si incontreranno quando e dove e come a Dio piacerà e voi non siete in alcun modo responsabile se il punto d’incontro dovesse essere ancora molto lontano”. Questa sua capacità di coniugare la scienza con la spiritualità le attirò critiche spesso aspre e nel Dizionario delle biografie di Oxford, per esempio, si usa la parola “confusione” per indicare i suoi confronti tra matematica e filosofia.

Mary e George Boole

I due si conobbero a casa dello zio materno di Mary nel 1850, quando lei aveva 18 anni. Si sposarono nel 1855 ed ebbero cinque figlie. Nel 1864 George morì. Due anime così affini, così poco tempo insieme. Abbastanza però perché George e le sue idee appaiano spesso in filigrana in quello che Mary scriverà molti anni più tardi.

George contribuisce alla formazione matematica di Mary e da subito i due condividono l’interesse per la matematica, la religione, la logica e i processi del pensiero. Poco prima di sposarsi, George le aveva promesso che le avrebbe chiesto di collaborare alla sua ricerca in matematica, anche se lei non si sentiva in grado di dare un vero e proprio contributo. L’occasione arrivò quando George scrisse il libro A treatise on differential equations (1859), a proposito del quale Mary racconterà: “Poiché non avevo una conoscenza sufficiente per assistere mio marito nel perseguire le ricerche matematiche, provai a usare la mia ignoranza rappresentando, finché il testo non fosse diventato comprensibile, il pubblico non istruito che aspetta l’illuminazione. Dovevo essere una sorta di personaggio di secondo piano su cui si sarebbe dovuto provare il nuovo libro, per giudicarne l’effetto”. I loro ruoli riguardo alla matematica erano quindi su piani diversi ma il contributo di Mary non va sottovalutato se in una lettera ad Augustus de Morgan, George dichiara: “Non c’è assolutamente nessuna persona [in Irlanda] con cui io discuta di logica eccetto mia moglie”.

Anno dopo anno, dopo la morte del marito, Mary diventerà un personaggio sempre più autorevole e un preciso punto di riferimento per chi fosse interessato alla pedagogia e all’insegnamento della scienza. Arthur Somervell, giovane musicista, e la moglie Edith furono tra i suoi assidui frequentatori: Edith mise in pratica le idee didattiche di Mary nella scuola di un piccolo paese e scrisse il libro A rhythmic approach to mathematics, la cui prefazione è di Mary stessa.

Mary e le Stem

Nella Prefazione ai quattro volumi delle opere di Mary, E.M. Cobham scrive: “Mary Everest iniziò presto a pensare di trovare il suo obiettivo naturale nel servire la verità per il bene dell’umanità e in tutta la sua lunga vita non ha mai rinunciato a questo fine”. In effetti Mary perseguì questo scopo in mille modi diversi. Era convinta che, formando i bambini al pensiero scientifico, avrebbe aiutato a for- mare degli adulti migliori e dato un contributo alla società presente e futura, migliorando le capacità di chi avrebbe dovuto affrontare problemi politici, economici ed etici.

L’amore per la matematica, la logica e la scienza ci appaiono evidenti già nei titoli dei suoi libri Logic taught by love e Philosophy and fun of algebra: non capita spesso di trovare le parole logica e amore, algebra e divertimento nella stessa frase.

Era convinta che si dovesse mostrare ai bambini e ai giovani il faticoso percorso che portava alla conoscenza scientifica, perché solo così avrebbero finito per amarla. Pillole già digerite di scienza non fanno che provocare noia e mettono a tacere ogni passione. I bambini devono entrare in contatto e stabilire relazioni con il mondo respirando, toccando, muovendosi, ragionando, convivendo con l’errore e con le impressioni sbagliate, rimettendole in discussione senza falsificarle. Mary non propone un metodo ma offre esempi e situazioni. Si mette a tavolino con insegnanti e genitori senza calare dall’alto dogmi alla moda. Il suo libro The Preparation of the Child for Science è estremamente concreto, con esempi di dialoghi tra bambini e genitori/insegnanti e una serie di esempi di situazioni quotidiane da sfruttare per accompagnare il bambino ad avere un buon atteggiamento scientifico. Il maestro deve essere presente ma sapere anche quando fare un passo indietro: “Dovrebbe cercare di cancellare sé stesso, i suoi libri e i suoi sistemi; porsi dietro a una tenda che lo separa dallo scenario dove si trova il bambino in mezzo al processo di scoperta e lasciare la giovane anima da sola con la pura verità”. La scoperta di un qualunque fatto nuovo è un momento di contemplazione, che va rispettato, come un atto sacro. Il bambino si trova di continuo, per sua natura, di fronte alla soglia dell’ignoto, al confine, mai del tutto netto, tra ciò che è noto e ciò che non lo è. Questa alternanza ritmica alimenta un processo dinamico, che è il motore dello spirito scientifico, e non è mai del tutto compiuto.

L’attività naturale di scoperta del bambino va incoraggiata e nutrita, in modo che stabilisca relazioni con oggetti ed eventi, relazioni tra il suo inconscio e il mondo esterno. Osservando al microscopio le parti di una piantina, il bambino riflette sul fatto che queste parti crescono insieme e agiscono. Invece, la mente umana spesso agisce smontando e scomponendo per poi riunire e capire. È quello che facciamo, per esempio, quando scomponiamo numeri molto grandi per compiere somme e altre operazioni aritmetiche. Le leggi dell’aritmetica sono per noi come una scala, che usiamo per raccogliere i frutti più alti di un albero, quando non sono alla portata delle nostre mani.

La conoscenza inconscia è centrale nella filosofia di Mary Boole: il bambino deve poter apprendere anche in modo passivo, con attività manuali e artigianali, osservando macchinari in movimento. Una visita ad un museo, una gita domenicale sono le occasioni in cui il bambino può osservare per esempio un annodatore di corde, suggeriva Mary. Noi oggi non sapremmo dove trovarlo, ma una impastatrice domestica e una lavatrice che centrifuga possono andare bene lo stesso. Gli adulti non devono interferire, niente spiegazioni, niente lezioni: il bambino pensa, rimugina, mette insieme impressioni, stabilisce relazioni con fenomeni fisici.

L’immaginazione matematica

Un esempio che ha reso celebre il lavoro di Mary Boole è quello delle “Boole Cards”: il bambino lavora con ago e filo, cuce segmenti rettilinei e in questo modo crea, pur senza sapere come, delle curve. Queste curve sono un inviluppo di tangenti, le tangenti “sono” i fili. Così il bambino viene in contatto con un concetto matematico avanzato ma in maniera inconsapevole. E, per carità, che nessuno gli spieghi alcunché sulle tangenti! Il pensiero si slancia al di là della realtà fisica e l’immaginazione matematica si arricchisce: “L’atto di evocare una curva “da qualche parte là fuori, fino a qui” grazie alla semplice obbedienza a una legge ritmica, imprime nella mente inconscia un’impressione che sarà pronta a crescere nell’arco di dieci anni e forse porterà qualche insegnante della scuola secondaria a chiedersi perché questo ragazzo o questa ragazza , anche se non molto studioso e ricco di interessi al di fuori del curriculum, non abbia mai avuto la minima difficoltà a cogliere l’idea del calcolo differenziale”. Un altro esempio di avvicinamento della mente inconscia a un concetto matematico avanzato è raccontato così: “In età precoce, quando le mie dita erano ancora sensibili, avevo l’abitudine di giocare con uno yo-yo. Il fremito delle dita nei punti morti inferiori e superiori ha fissato nel mio cervello una comprensione dei massimi e dei minimi che mi è valsa più di tutte le spiegazioni mai scritte o pronunciate. La pausa dello yo-yo è un fenomeno simile alla lunghezza stazionaria di giorni e notti di metà estate e metà inverno. Potrebbe essere bene portare un bambino a osservarlo”.

La riflessione di Mary Boole sull’educazione scientifica dei bambini diventa una riflessione sul metodo scientifico stesso. Mary vive in un secolo in cui si assiste allo sviluppo della componente scientifica dell’educazione con lo scopo di contribuire a un’educazione laica, per crescere cittadini liberi e consapevoli, e nel contempo di addestrare le persone a svolgere le attività richieste dalle nuove trasformazioni industriali e sociali. Oggi la super-specializzazione e la corsa al tecnicismo favoriscono il prevalere del secondo aspetto sul primo, che però è per fortuna sempre presente.

 

Si parla molto dell’insegnamento delle cosiddette materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) e dell’ostilità che lo studio delle scienze, la matematica prima di tutte, incontra. Mary Boole va al cuore del problema e propone una visione umanistica complessiva della scienza, chiamandola “preparazione etica e logica”. Non consiste nell’essere aggiornati a tutti i costi, nell’insegnare l’ultima teoria scientifica, ma nell’incoraggiare un atteggiamento scientifico, quello sì, anche molto precocemente.

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