Sfidare il mare con la forza dei numeri

La partecipazione a tre finali di Coppa America di un matematico che non sapeva niente di vela ma che all’improvviso si ritrovò a dover capire come sfruttare ai fini della gara le turbolenze di due fluidi diversi come l’acqua e l’aria (Il testo che di seguito presentiamo è una selezione di brani scelti da: Alfio Quarteroni, Le equazioni del cuore, della pioggia e delle vele. Modelli matematici per simulare la realtà, Zanichelli, 2020, per gentile concessione della casa editrice)

Nell’autunno del 2001 il presidente dell’Epfl, il Politecnico federale di Losanna dove insegnavo, mi chiese di intervenire a una riunione. Tra i partecipanti, uno era piuttosto inatteso:Russell Coutts, il leggendario skipper che aveva appena condotto il team Black Magic di New Zealand a trionfare nella XXX edizione dell’America’s Cup,
la più prestigiosa competizione velica del mondo. In quell’incontro fummo informati che Ernesto Bertarelli, giovane imprenditore di successo e grande appassionato di vela, aveva deciso di creare un team svizzero per competere nella XXXI edizione dell’America’s Cup, capitanato dallo stesso Coutts. Il team si sarebbe chiamato Alinghi (il nome della barchetta che Bertarelli aveva avuto in regalo dal papà da ragazzo). All’Epfl si chiedeva di fare da consulente scientifico del progetto.
Ricordo che il presidente, dopo aver scherzato sulle ilarità che la storia avrebbe potuto provocare sui media (un team di un Paese notoriamente montagnoso e senza mare che compete nell’America’s Cup!) mi informò che l’Epfl si sarebbe occupato di due questioni: i materiali costruttivi (affidati a un altro collega) e il design fluidodinamico. Di questo avrei dovuto occuparmi io con il mio team del gruppo Cmcs (Modellistica matematica e calcolo scientifico).
Superfluo dire che non sapevo niente di vela. In preparazione per il secondo incontro, con Russell Coutts e Grant Simmer (il famoso skipper di Australia II, prima imbarcazione non a stelle e strisce a vincere l’America’s Cup dopo 135 anni di incontrastato dominio statunitense), mi dovetti scaricare dal web le 50 parole chiave del dizionario della vela. Non potevo sapere che da quel momento, e per nove anni, Alinghi sarebbe diventata una fedele compagna di viaggio.

Nel dicembre 2001 costituisco un team di tre persone all’Epfl, che fino alla fatidica data del 2 marzo 2003 sarà in contatto continuo con il design team di Grant Simmer e i marinai di Russell Coutts. Le teleconferenze con il team Alinghi, di stanza ad Auckland (12 ore di fuso orario di differenza), si tengono ogni settimana le prime ore del  mattino per noi, che sono le ultime della sera per loro.
Come si affronta, da scienziati, un tema distante dalla propria storia personale? La prima cosa è ovviamente capire il problema, per vedere se si è in grado di affrontarlo. “Capire“ qui significa sviscerarne le componenti fisiche e ingegneristiche utili alla costruzione del modello. All’inizio il lavoro è soprattutto teorico, ma poi occorre tradurre le conoscenze ottenute nel linguaggio dei committenti, che comprende anche aspetti economici e di tempistiche: rispetto alla ricerca curiosity driven, qui c’è in più il vincolo delle risorse finite.
Il caso Alinghi si presentava come davvero complicato: un oggetto enorme (24 tonnellate di peso, quasi 800 metri quadrati di vela in regime di poppa, un albero di 25 metri), dalla forma complessa, soggetto a forze e stress incredibili. Sono coinvolti due fluidi diversi e turbolenti: aria e acqua. Le condizioni di moto sono diversissime: a seconda della forza e della direzione del vento, si possono creare effetti di portanza come sulle ali degli aerei o effetti di frenata come nei paracadute; e così via.

I vincoli extra scientifici sono, se possibile, ancora più severi. Sono in gioco grandi quantità di denaro e il confine tra vittoria e sconfitta è sottilissimo. Le regate di Coppa America sono ferocemente competitive: anche dopo una gara di alcune ore, le due imbarcazioni possono tagliare il traguardo a pochi centimetri di distanza. A differenza di quel che accade in applicazioni industriali come il progetto di velivoli, dove sono necessari ampi margini di sicurezza, qui è essenziale ottenere performance estreme, sul filo del rasoio. I progettisti devono riuscire a spingere al massimo le caratteristiche di agilità della loro creatura senza oltrepassare i limiti di resistenza strutturale.
Una barca della classe Coppa America di tipo monoscafo (come quelle che hanno gareggiato fino alla XXXII edizione) è costituita da varie componenti: in acqua, lo scafo, la chiglia e il bulbo e altre appendici quali le alette e il timone; fuori dall’acqua, l’albero e le vele, la randa, il genoa, lo spinnaker e il gennaker. Un tempo si vedevano forme assai diversificate di scafi, bulbi e chiglie ma negli anni 2000 (fino al 2007, ultima edizione delle competizione con monoscafo) si è arrivati a una standardizzazione piuttosto uniforme; dunque sono i più piccoli dettagli a fare la differenza in termini di risultati. Nel 2003 Jerome Milgram, professore del Mit di Boston e veterano della consulenza a stelle e strisce ai team di Coppa America, ha affermato che “gli yacht di Coppa America richiedono una estrema precisione nel design dello scafo, delle parti in acqua e delle vele. Un nuovo scafo che offre una resistenza all’onda ridotta dell’1% può assicurare un guadagno di 30 secondi all’arrivo”.
Il 15 febbraio 2003 inizia la finale con la sfida ai “kiwi” di Black Magic e il 2 marzo, dopo cinque regate tutte vinte, Alinghi trionfa: è il primo team europeo a vincere l’America’s Cup. Ed è un team di un Paese montagnoso senza accesso al mare! I media di tutto il mondo danno grande rilievo a questo evento, sottolineando anche il ruolo della modellizzazione matematica in questo successo.
La XXXII edizione, per decisione dell’armatore vincente, si disputa a Valencia, in Spagna. Lo sfidante è l’Emirates Team New Zealand, vincitore della Louis Vuitton Cup (in finale si sono imposti con un secco 5-0 sull’italiana Luna Rossa). La sfida decisiva avviene tra il 23 giugno e il 9 luglio 2007, ed è ancora Alinghi a vincere.
L’edizione XXXIII, che si svolge di nuovo nelle acque di Valencia dall’1 al 25 febbraio 2010, vede invece la sconfitta di Alinghi da parte del team Oracle, con il trimarano USA17, condotto da James Spithill.
Con l’esito della terza finale in sette anni si conclude l’avventura di Alinghi e anche la mia personale in Coppa America. Negli anni successivi sono stato contattato da altri team, ma ho preferito uscire di scena con gli svizzeri. Ma le mie avventure matematiche nello sport ad alto livello non sono finite con la vela. Alinghi è stato indubbiamente un importante trampolino di lancio, che mi ha consentito in seguito di cimentarmi – matematicamente parlando! – in diversi sport quali il canottaggio, il nuoto, la pallavolo e il calcio (non poteva mancare). Forte di questa esperienza è nata la società Math&Sport, la cui missione è trasferire in vari ambiti sportivi le conoscenze dei modelli matematici, la scienza dei big data, l’intelligenza artificiale e il machine learning, allo scopo di migliorare le prestazioni individuali degli atleti e le strategie e le tattiche dei giochi di squadra: un modo appassionato di usare la matematica ai massimi livelli.

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