Negli ultimi fine-settimana sono a certificare le firme dei cittadini per il referendum sull’abrogazione di alcuni commi dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), ovvero sulla depenalizzazione di chi favorisce la morte volontaria a certe condizioni, così da permettere di essere “liberi fino alla fine”. E intanto mi interrogo su come mai nel mio fascicolo sanitario elettronico ancora non compaiano le mie dichiarazioni anticipate di trattamento, ai sensi di quella grande conquista civile che fu la legge 219/2017 sul consenso informato, punto d’arrivo del percorso di coraggio e dolore che da Welby a Eluana Englaro rese esigibile in Italia il diritto sancito dal secondo capoverso dell’articolo 32 della nostra Costituzione.
Mi interrogo se il nostro Paese finalmente si adeguerà alla raccomandazione della Ue del 31/3/2010 e alla risoluzione del Consiglio d’Europa del 29/4/2010 introducendo misure per combattere il discorso d’odio e le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Mi interrogo su come verrà declinato l’investimento di 2 miliardi riguardante le Case della Comunità previste nel Pnrr, luoghi dove promuovere quella salute territoriale di prossimità fatta di prevenzione e medicina proattiva e quelle reti socio-assistenziali inclusive che possano trasformare le nostre comunità in comunità che promuovono salute. La loro mancanza e la sciagurata enfasi degli ultimi decenni sulla sanità di prestazione, piuttosto che su quella di cronicità, sono ormai riconosciute come le principali cause che hanno fatto registrare in Italia di fronte alla pandemia di Covid-19 impatti con le più alte percentuali al mondo.
Mi interrogo sul ruolo degli intellettuali organici che Gramsci espresse con tanta lucidità mentre si consumava di tubercolosi nelle carceri fasciste e sull’apparente paradosso che stiamo vivendo da alcuni decenni: i partiti che tradizionalmente rappresentavano gli elettori con un’istruzione minore si identificano oggi invece nelle classi professionali con istruzione più alta e nell’élite meritocratiche e tecnocratiche, mentre le classi lavoratrici, che hanno un’istruzione minore, sono sempre più preda di partiti populisti e nazionalisti. È un fatto potenzialmente grave a fronte delle scelte dirimenti necessarie oggi per contrastare i mutamenti climatici attraverso una transizione energetica e procedere senza esitazione nella lotta al contagio con la vaccinazione.
Mi pongo la solita domanda: che fare? Penso che vada riscoperto l’impegno politico. Chi appartiene, o ambisce ad appartenere, agli intellettuali deve capire che è prioritario rispondere alle crescenti disuguaglianze. Bisogna accettare l’apparente paradosso matematico che per essere equi si deve essere disuguali e mettere in dubbio che la società meritocratica sia giusta. Potrebbe esserlo, forse, se ci fossero pari opportunità, ma siamo molto lontani da ciò. Bisogna impegnarsi affinché la salute, la libertà, come i diritti civili e sociali, siano di tutti.
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