No, il titolo non è sbagliato. È solo cifrato, ossia coperto da una chiave di lettura nota solo al mittente e al destinatario. Nella crittografia la matematica ha un ruolo predominante. A proposito, se leggete l’articolo fino in fondo sarete in grado di scoprire che cosa dice il titolo
Messaggi segreti impossibili da decifrare? È il sogno di tutti i cospiratori, inclusa la povera Maria Stuarda. La sua testa cadde proprio perché i messaggi in codice che mandava dalla torre di Londra per complottare contro la sorellastra Elisabetta I furono intercettati e decifrati dal massimo esperto dell’epoca. La scarsa sicurezza del suo codice le costò cara. Maria Stuarda non fu certo la prima a coltivare l’arte della crittazione di messaggi segreti. Erodoto nelle sue Storie narra di un trucco pittoresco. Per mandare un messaggio sicuro attraverso i territori governati dai Persiani, il furbo Istieo fece rasare la testa al più fido degli schiavi e vi impresse dei segni aspettando che gli ricrescessero i capelli. Poi, lo mandò dal nipote con l’ordine di farsi radere i capelli e fu così che la Ionia si ribellò all’esercito di Dario. Si deve a Giulio Cesare il primo uso sistematico di un codice di crittazione, detto appunto Codice di Cesare. Si tratta di sostituire ciascuna lettera del messaggio in chiaro con una lettera che nell’alfabeto si trova un certo numero di posizioni dopo. L’alfabeto scorre così di un certo numero k di posti e k viene detto chiave della cifratura. Svetonio ci informa che Cesare prediligeva la chiave k=3 con cui comunicava spesso con il suo fido generale Cicerone, fratello del famoso oratore. Quello di Cesare è un codice che oggi definiremmo debole: in un alfabeto di 21 lettere come il nostro, ci sono solo 21 possibili modi di crittare il messaggio. Anzi 20 se non vogliamo ripetere, identiche, le parole in chiaro. Con un po’ di furbizia, si possono individuare le possibili vocali di una frase e cominciare a provare nella direzione giusta. Con questi indizi, non è complicato ad esempio decifrare la frase del titolo. Il problema principale del codice di Cesare è che una lettera viene sempre crittata in un’altra lettera fissa. Pertanto, se il messaggio è abbastanza lungo, per decifrarlo si può intervenire con la cosiddetta analisi delle frequenze, cioè con gli indizi che vengono dalla struttura delle parole e delle frasi tipiche della lingua in cui è scritto il messaggio. È per questo che, sin dal Rinascimento, furono introdotti i cosiddetti cifrari polialfabetici. La loro forza sta nel fatto che ogni lettera del messaggio si codifica con una regola che cambia. Vediamo come funziona un famoso cifrario polialfabetico, detto cifrario di Vigenère, pubblicato nel 1586 del diplomatico francese Blaise de Vigenère. La regola con cui si critta ogni singola lettera è quella di Cesare ma, per decidere quanto vale lo spostamento k, si usa una chiave che è costituita da una parola concordata in segreto. Nell’esempio qui sotto la chiave è “DITO”: questo vuol dire che la prima lettera viene cifrata con chiave k=3 (perché D è la terza lettera dell’alfabeto dopo A), la seconda lettera con chiave k=8 (perché la I è l’ottava lettera dell’alfabeto dopo A) ecc. In altre parole, la lettera della chiave indica dove va a finire la lettera A in una cifratura di Cesare: se la lettera della chiave è A l’alfabeto non si sposta; se è B, la A iniziale si sposta su B e quindi l’alfabeto si sposta di 1 e così via.
Il cifrario di Vigenère fu a lungo noto come le chiffre indecifrable. Forse, se Maria Stuarda l’avesse utilizzato, l’Inghilterra non avrebbe conosciuto, nel lungo regno della regina Elisabetta I, il teatro di Shakespeare, la vittoria contro gli odiati Spagnoli, il dominio dei mari e il trionfo del protestantesimo. Il cifrario di Vigenère ha però un grande punto debole: essendo di fatto l’insieme di tanti cifrari di Cesare, tanti quante sono le lettere della chiave, presenta regolarità che rendono ancora abbastanza semplice la sua decifrazione. Per renderlo quasi inattaccabile, c’è bisogno di usare una chiave molto lunga (che tuttavia pone il problema di come fare a condividerla in segreto) oppure di continuare a cambiare la chiave.Fu proprio l’idea dei tedeschi di continuare a cambiare continuamente la chiave quello che avrebbe potuto decretare il loro successo nella seconda guerra mondiale. Nel 1918, infatti, un ingegnere tedesco brevettò una macchina fondata su un meccanismo inventato quasi cinque secoli prima da Leon Battista Alberti. La macchina utilizzava l’idea di cambiare codice di cifratura in modo meccanico attraverso dei dischi che, ruotando di continuo, rendevano quasi impossibile risalire alla chiave. Si trattava della famosa macchina Enigma. Sappiamo come andò a finire la storia. Gli inglesi fecero le cose in grande riunendo a Bletchley Park, a nord di Londra, una straordinaria compagine di linguisti, enigmisti e matematici, tra cui Alan Turing. Sono numerosi i film e i romanzi che hanno narrato le vicende di questo gruppo di uomini che aprirono un capitolo completamente nuovo della crittografia, quello in cui non si poteva prescindere dalle capacità di calcolo delle macchine.
Dopo la seconda guerra mondiale, la sfida di trasmettere messaggi inviolabili sembrava destinata a fallire. Mai dire mai, però. Ci sarebbero voluti altri trent’anni e il lavoro di generazioni di matematici per consentirci oggi di effettuare ordini su Amazon con la ragionevole certezza che non cloneranno la nostra carta di credito.