Con l’espressione capodanno estivo Alberto Mattiacci, presidente del comitato scientifico del Centro di ricerca Eurispes, racconta la ripresa delle attività di settembre dopo la tradizionale pausa estiva. Un Capodanno diverso dai soliti perché le ferite lasciate dal Covid sono ancora lontane dal rimarginarsi. Ma la vera novità, a meno di clamorose sorprese, è che con il nuovo anno si torna in presenza riallacciando “quella consuetudine dell’altro, non mediata dallo schermo, entro la quale ci immergeremo diversi da come ne siamo usciti”.
I fondi del Pnrr ci offrono un’occasione unica, quella di svecchiare e ammodernare l’Italia. A cominciare dalla scuola che costituisce il primo appuntamento – se non altro di carattere cronologico – di questo ritorno alla normalità. Sulla Dad questo giornale si è già ampiamente espresso: un’ancora di salvezza alla quale la scuola è rimasta aggrappata per quasi due anni ma anche un male (necessario) i cui danni sconteremo a lungo. Ora, la nostra riflessione – mediata da una lettura più di prospettiva e meno di pancia dei dati Invalsi – vuole posarsi su uno dei
due attori principali della scuola: il docente.
In un intervento di qualche mese fa, l’Osservatorio dei conti pubblici di Carlo Cottarelli evidenziava come solo il 73% degli insegnanti in posizione direttiva riteneva che la propria scuola reagisse in maniera veloce ai cambiamenti, contro una media Ocse dell’87,8%. Durante la loro carriera, i docenti non ricevono dallo Stato il supporto necessario a sviluppare quelle capacità che servono per affrontare le nuove sfide. Lo dimostra il dato che il 75% di loro non ha frequentato attività di formazione (contro una media Ocse del 58%). Gli insegnanti ci devono certo mettere del loro ma non possono essere lasciati soli. Devono ricevere contributi economici e facilitazioni pratiche per la loro attività di aggiornamento e conoscere le linee generali in cui questa si svilupperà. Devono avvertire attorno a sé un ambiente che favorisce l’innovazione. Nel suo articolo, Stefania Pozio parla della necessità di sviluppare “un sistema premiale per gli insegnanti migliori” e non si può accampare la scusa che le prime prove in questo senso siano state insoddisfacenti.
La pandemia e la Dad hanno portato a galla tutti i problemi cronici che la nostra istruzione si trascina da anni. La questione scuola non va affrontata solo dal punto di vista dei genitori che, con la riapertura delle aule, sanno dove lasciare i figli e hanno la possibilità di tornare a lavorare in tranquillità. Così come l’insegnamento non deve essere inteso solo come conquista di una cattedra e, di conseguenza, del posto fisso. Perché, se i nostri ragazzi sono indietro nelle competenze matematiche e anche umanistiche, il problema risiede anche in chi li deve preparare. Lo dice chi nella scuola lavora. Perché, prendendo in prestito ancora le parole di Stefania Pozio, “la qualità della scuola passa attraverso la qualità degli insegnanti”.
Buona lettura e buon Capodanno!
Vincenzo Mulè | Direttore responsabile