Si avvicinano le pagelle, tempo di affannose compilazioni di registri e poi di scrutini. Ma un cinque e mezzo e un sei più possono fare come media la sufficienza? C’è tutta una numerologia delle pagelle, spesso implacabile nella rigidità degli esiti quanto vaga nella precedente fase della plasmazione. I registri elettronici si incaricano di fare le medie, all’insegna dell’esattezza. Ma quanto sono esatti i voti nella loro genesi? Che tipo di misura sono?
Immaginiamo una teoria del voto di tipo deduttivo: algoritmi precisi da cui si evincono dati di tipo ben definito, i voti. Più o meno quello che si cerca di fare nelle prove standardizzate. La strutturazione è però affidata alla scelta di chi formula la prova: non esistono leggi generali sulla pesatura delle prestazioni scolastiche. Oppure ci potrebbe essere un affinamento induttivo della capacità di attribuire voti: se più insegnanti correggendo lo stesso compito attribuiscono voti diversi, l’ampiezza di questa fascia di variazioni suggerirebbe empiricamente il tipo di errore insito nel voto. E magari insegnerebbe a valutare meglio. Posto che la valutazione media sia la migliore, cosa che è da dimostrare. Insomma, che cosa c’è di esatto in un voto?
In realtà il voto rappresenterebbe non una grandezza ma l’attribuzione di una fascia all’interno di una scala, caratterizzata da certi descrittori. Quello che in gergo scolastico si chiama una griglia. Quindi non corrisponde a una quantità ma a un posizionamento in una successione di valori. Ma definire i descrittori è arbitrario e altrettanto lo è attribuirgli una pesatura. Non è univoca neppure l’attribuzione della prestazione ai singoli descrittori. Così sembra che il problema della trasposizione in quantità di qualche intuizione si sposti solo indietro. Molte battaglie sono state combattute sulla valutazione nelle scuole primarie: ai giudizi sono stati sostituiti i voti e poi ancora ai voti i giudizi. Eppure, se i giudizi corrispondono a un ordine prefissato su una scala di n livelli, poco cambia: c’è una perfetta corrispondenza fra gli uni e gli altri.E noi siamo certi che una scala di n voti o giudizi riesca a rappresentare la molteplicità di aspetti che convergono in una prova (impegno, abilità, motivazioni, memoria, creatività ecc.)? Ci vorrebbero voti pluridimensionali? Ma anche in quel caso resterebbe affidato all’intuizione l’atto di assegnare ai diversi livelli i differenti aspetti della prova. La rigidezza con cui i voti, nati da un amalgama di criteri intuitivi, si cristallizzano in forme poi apparentemente esatte mi ricorda la vecchia barzelletta: “Un re manda la sua vedetta a guardare quanti nemici stanno all’assedio. La vedetta torna: – Sono mille e sei! –. Il re, stupito, domanda come ha fatto a contarli e la vedetta risponde: – Sei sono proprio sotto le mura e più in là, in mezzo al polverone, saranno un migliaio”.