Pensieri divergenti – Il regionalismo differenziato non è una soluzione

May you live in interesting times era il titolo della Biennale di Venezia 2019, solamente pochi mesi prima che l’auspicio, diciamo così, si avverasse con lo scoppio della pandemia. Voleva essere l’augurio di un’epoca rivoluzionaria che portasse verso un mondo più equo per tutti. In realtà, l’adagio inglese è un paradosso: sembra un augurio, mentre va inteso come un’ironica minaccia in quanto sottintende che i tempi poco interessanti sono i più felici. Con questa premessa voglio invitare a vigilare sulle possibili conseguenze nefaste di due leggi che hanno modificato la nostra Costituzione: la numero 3 del 18/10/2001 (“Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione”) e la numero 1 del 20/4/2012 (“Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”). La prima ha aperto pericolosamente la porta alla autonomia differenziata in quanto, all’articolo 116, permette alle Regioni di dotarsi di poteri in materie quali l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali che erano di competenza esclusiva dello Stato. A questi fini, all’articolo 118, vengono assicurate alle Regioni compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. Regioni quali la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna firmarono, già nel 2018, un preaccordo in tal senso e molte altre vorrebbero seguirle. Senza mezzi termini, esprimo gravissima preoccupazione per lo sviluppo di processi di regionalizzazione del sistema scolastico. Personalmente, arrivai nella regione nella quale poi mi sono stabilito perché all’epoca i concorsi erano statali (e non locali) e i docenti venivano assegnati alle sedi universitarie secondo il principio che la qualità del sistema accademico italiano dovesse essere omogenea almeno rispetto alle risorse umane. Penso che l’istruzione pubblica universale e omogenea sia uno dei valori più importanti per un Paese, sin dai tempi della rivoluzione francese. Qualsiasi operazione che la indebolisca alimenterà inevitabilmente quegli identitarismi ingiustificabili e artificiali che sono deleteri per tutti, chi costretto a difendere un privilegio, chi invece escluso. C’è poi la riforma del 2012 che ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio e l’osservanza di vincoli economici e finanziari derivanti da organismi sovraordinati. La riforma ha cancellato dall’articolo 119 il riferimento solidaristico: in particolare, per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali. Oggi vi troneggia la minaccia per cui “[Le Regioni…] possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”. Non vi è dubbio che il regionalismo asimmetrico renderà sempre più difficile ogni manovra per rendere effettivo qualsiasi riequilibrio ed esigibili quindi pari diritti. È certamente un principio importante riconoscere anche a livello europeo i diritti delle popolazioni locali ma il regionalismo differenziato non omogeneo non può essere la soluzione. Il punto di partenza è comunque uno solo: riprendere il percorso che si interruppe all’inizio di questo millennio e stilare la Costituzione Europea. Io ho ben chiaro quale ne dovrà essere l’incipit. Articolo 1: Il benessere o è di tutti oppure non è.

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