Alla fine, le prove Invalsi si stanno facendo: dopo ampie discussioni anche quest’anno sono partite. Non saranno indispensabili per sostenere l’esame di maturità, quindi saranno un poco meno obbligatorie. Ma si stanno facendo. Per secoli, fin dal pensiero antico, l’educazione stava a fianco delle discipline etico-morali. Poi si è intestata, in compagnia delle scienze sociali e umane, il titolo di “scienze dell’educazione”. Da qualche decennio i test Ocse, Iea, Invalsi hanno introdotto l’educazione nel campo d’azione della statistica assumendo la necessità di pesare quantitivamente alcuni apprendimenti. Le prove standardizzate misurano per cinque volte, nel corso dei percorsi scolastici (quest’anno però alcuni livelli saltano per la pandemia) i risultati degli alunni, riferiti alle Indicazioni o Linee guida nazionali (quelli che un tempo erano i programmi di studio). Le reazioni ai test sono da tempo molto vivaci:
– Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu….
– L’educazione è troppo complessa per essere ricondotta a qualche valutazione “a crocette”.
– Si tratta solo di tre materie, e neppure le più qualificanti.
In realtà i test realizzano, oltre che un rafforzamento della valutazione del singolo alunno, sempre comunque affidata ai suoi insegnanti, una valutazione di sistema e di parti del sistema scolastico. Indagare quali correlazioni ci sono fra riuscita nei test e provenienza socio-familiare, quali differenze ci sono fra regioni, fra maschi e femmine, fra diversi livelli scolastici, ci restituisce uno spaccato del funzionamento della scuola italiana. Il contribuente ha diritto di sapere se le politiche pubbliche ottengono i risultati che si propongono e in che misura. Non sappiamo però ancora quello che, nella storia del singolo ragazzo, la scuola ha aggiunto. Per ora i test ci dicono, se prendiamo l’esempio di una gara di corsa, chi sta più avanti e chi più indietro (approccio sezionale delle misure). Ma sappiamo che ci sono ragazzi che partono già molto più forti dei compagni (influenza contestuale, talenti). Ora dovremmo arrivare a misurare quanto l’allenamento (la scuola) abbia migliorato i tempi di gara del singolo corridore nel corso degli anni (dimensione evolutivo-longitudinale). Dovremmo avere dei paletti lungo il percorso (ancoraggi) per misurare davvero in modo solido e scientifico la progressione nel percorso scolastico. Una grande sfida per Invalsi, per aiutarci a capire se e cosa funziona nella scuola. E cosa dobbiamo e possiamo migliorare.