Uno studio del Mit di Boston dà fondamento neurale a due tipi di bisogni: quello sociale e quello legato alla sopravvivenza fisica. Entrambe le privazioni attivano la stessa specifica regione cerebrale
Lunghi periodi di lockdown e di isolamento sociale, di misure restrittive e di lontananza dagli affetti, di eventi e appuntamenti ridotti al minimo e comunque sempre al massimo della sicurezza ci hanno reso affamati di rapporti sociali. Non serve un esperimento per confermarlo. Se infatti psicologi e psicoterapeuti discutono da tempo della nuova normalità fatta di “bolle”, di incontri digitali, di fisicità ridotta al minimo ma soprattutto di occasioni di socializzazione del tutto nuove (prive di contatto, di vicinanza, di calore), adesso un nuovo studio firmato dal Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit) ce ne fornisce una conferma sotto l’aspetto neurale. Costruendo per altro una corrispondenza davvero sorprendente: l’isolamento e la solitudine provati in questi mesi dall’inizio della pandemia da Sars-Cov-2 hanno molto in comune con il desiderio di cibo che sentiamo quando abbiamo fame. Amici, familiari, incontri, eventi, concerti o semplici abbracci e strette di mano sono un nutrimento di cui sentiamo la mancanza. La prova sta nella risposta del cervello. “Le persone forzate all’isolamento desiderano interazioni sociali in modo simile a quello in cui un affamato si mette in cerca di cibo” spiega Rebecca Saxe, che è John W. Jarve Professor in Scienze cognitive e cerebrali al Mit e coautrice dello studio. “Le nostre scoperte confermano l’idea piuttosto intuitiva che le interazioni social positive siano un bisogno umano di base e che la solitudine acuta costituisca uno stato di avversione che motiva le persone a colmare ciò che manca, in maniera simile a quando abbiamo fame”. Dopo un giorno di isolamento totale – per la precisione, 10 ore continuative – la vista di immagini raffiguranti delle persone intente a divertirsi e socializzare ha messo in moto nel cervello dei partecipanti all’indagine la stessa regione che si attiva quando qualcuno a digiuno dallo stesso numero di ore vede la foto di un piatto di pasta.
Qual è questa regione? Si chiama substantia nigra ed è nota anche come sostanza nera di Sommering. Si tratta di una piccola formazione nervosa grigia laminare con significato di nucleo, al confine tra piede e segmento del mesencefalo. Un’area collegata in una serie di studi precedenti proprio alla voglia di cibo e al desiderio di sostanze stupefacenti. È anche una zona che potrebbe essere imparentata, dal punto di vista evoluzionistico, con una regione simile scoperta nel cervello dei topi: un’indagine del 2016 rivelò infatti che i nuclei del rafe della colonna mediana, sempre in condizioni di cattività e isolamento, si erano attivati stimolando la ritrovata (e agognata) interazione sociale.
L’aspetto interessante è che la ricerca, pubblicata su Nature Neuroscience, con prima firma Livia Tomova dell’università di Cambridge ma già post-doc proprio al Mit, si basa su dati e test effettuati fra il 2018 e il 2019. Dunque ben prima della pandemia e di tutte le misure che ci hanno precipitato verso una vita monastica e senz’altro più povera, almeno dal punto di vista relazionale. “Volevamo vedere se potevamo indurre in modo sperimentale un certo genere di stress sociale in cui riuscire ad avere il controllo effettivo – aggiunge Saxe. Un intervento sull’isolamento sociale più profondo di quanto fosse stato tentato in precedenza”. In sostanza, su di un gruppo di 40 volontari in salute, studenti del college, è stata effettuata una risonanza magnetica tomografica in due condizioni diverse: dopo un isolamento sociale di 10 ore, trascorso all’interno di una stanza del campus, e dopo un digiuno sempre di dieci ore. Nel primo caso, ai partecipanti è stato sottratto anche lo smartphone e impedito ogni incontro sia per usare i servizi, sia per mangiare (consegna alla porta senza incontro con gli incaricati) sia per infilarsi nella macchina della risonanza. Insomma, nessuna interazione fino al momento della scansione cerebrale.
Nel corso di questa, ai volontari sono state sottoposte immagini di persone intente a relazionarsi, foto di pietanze e immagini neutre, per esempio di piante e fiori. Alla vista di foto di persone in piena interazione o divertimento, il segnale di attivazione neurologica in quell’area è stato simile a quello prodotto alla vista di foto di cibo dopo la lunga giornata di digiuno. Non basta: la quantità di attivazione della sostanza nera di Sommering si è dimostrata collegata a quanto più fortemente i pazienti avevano valutato il loro desiderio di cibo o interazione. In entrambi i casi, insomma, condividevano una fame di fondo: di sostanze nutritive o di rapporti sociali. Con le dovute differenze indotte dal punto di partenza fra chi viveva un’esistenza ricca di rapporti sociali e chi invece era già abituato a una certa quota di isolamento. Rimane ovviamente da capire in che modo l’isolamento sociale modifichi inostri atteggiamenti: se i surrogati virtuali (come le videochiamate) possano davvero lenire questa sensazione e, in caso positivo, in quali fasce d’età o in quali condizioni. Lo studio ha infatti osservato che fame e isolamento hanno attivato anche altre regioni del cervello, per esempio la corteccia e l’insieme di nuclei del corpo striato, ma in modo differenziato. È una prova del fatto che queste regioni cerebrali sono evidentemente più specializzate di altre nella risposta a differenti tipologie di privazione mentre la sostanza nera di Sommering sembrerebbe riassumerle tutte.